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LA CLESSIDRA DELLA MORTE

“Gli uomini dell’occidente vivono come se non dovessero non morire mai e muoiono come  se non avessero mai vissuto”

 

 

  1. Palermo (Palazzo Abatellis)

 

Nell’affresco sono raffigurati numerosi volti, tutti rivolti verso l’alto, stupefatti, impauriti, impotenti, ad osservare il protagonista della rappresentazione: la Morte a cavallo. Questa viene rappresentata come uno scheletro, assieme al suo destriero, con una falce, utilizzando la metafora del “triste mietitore”, il quale, al trotto del suo cavallo, “miete” le sue numerose vittime, a volte prima che loro possano rendersene conto, altre invece dopo lunga attesa. Nella parte bassa dell'affresco, possiamo notare come alcuni individui intenti ad ammirare il passaggio della Morte siano in realtà loro stessi scheletri, travestiti però da umani. Questo sta a simboleggiare l’astuzia della morte, la quale riesce ad infilarsi anche nei vicoli più stretti, o che si potrebbe nascondere dietro l’animale che crediamo più innocuo come, ad esempio, un topo, o, peggio ancora, una pulce. 

Possiamo osservare che appena sotto lo scheletro di cavallo ci siano dei defunti, si direbbe appena morti, dato lo stato del loro cadavere, non ancora in un avanzato stato di decomposizione. Se osserviamo più da vicino, però, notiamo che i corpi in questione appartenevano poco prima a personaggi pubblici e politici molto importanti: possiamo ad esempio vedere un re, o svariate figure religiose, ma anche studiosi e nobili. Questo per dimostrare che la Morte, quando percorre la sua strada, passa attraverso chiunque le si presenti innanzi, spietata e, per questo, democratica. In questo affresco è presente solo un animale vivo, a tutti gli effetti, ma credo possa essere comunque utile per avere un quadro più esaustivo della rappresentazione. Ciò che mi affascina di più di tale soggetto è la reazione alla vista della Morte: si è bloccato il prima possibile, esterrefatto dalla macabra visione. Sembra che si sia addirittura quasi fermato appena prima di essere calpestato dalla Morte. Il padrone di quest’ultimo sembra tenerlo stretto al guinzaglio, forse altrettanto stupefatto, forse riconoscente nei confronti dell’animale. 


 

     2) Pisa (Camposanto monumentale)


 

 

 

 

Nell’affresco, ambientato in una distesa di verde, è raffigurato, probabilmente, l’ultimo saluto a tre soggetti. La prima cosa che balza all’occhio è l’indecifrato numero di personaggi nobili, come si intuisce dal loro abbigliamento, accompagnati da altrettanti cavalli. Indossano abbigliamento colorato, allegro, forse caratteristico del ceto sociale  elevato. Anche i cavalli sono dipinti di colori sgargianti ed osservano tutti a capo chinato le salme dei tre defunti: partendo dall’alto, il primo corpo si direbbe appartenuto ad una figura religiosa prestigiosa, date le vesti. Un dettaglio, però, non può essere certo trascurato: l’ecclesiastico, infatti, è osservato anche da una serpe, la quale striscia sul corpo del defunto, sibilando agli uomini a cavallo. Al suo fianco giace un’altra figura, si direbbe, di alto rilievo, ciò per la corona che ha sul capo, che lo identifica, si suppone, come un sovrano. Sulle mani del defunto si scorgono bubboni, ormai caratterizzati da carne decomposta. Come per il personaggio precedente, anche sul re striscia viscidamente una serpe. Per ultimo, in basso, possiamo osservare un corpo completamente decomposto, del quale rimane solo la veste. Anche lui è osservato da una serpe, ma, a differenza degli altri due, è osservato solo e soltanto da questa. Forse questo terzo e misterioso individuo, privo di identità, per quello che possiamo intuire, rappresenta proprio la Morte stessa, la quale si finge cadavere per compiere ciò che le è di dovere. Forse è per questo che le serpi strisciano sui due cadaveri, al servizio della Morte, forse è per questo che tutti e tre i cani raffigurati all’interno dell’affresco sembrano fiutare qualcosa che fa storcere loro il naso, e forse è anche il motivo per il quale gli unici due uccelli presenti nella rappresentazione ammirino la scena con tanto interesse. Infine, un poco più in alto, osserviamo una figura anziana, probabilmente una figura politica più che una ecclesiastica, la quale sorregge una lunga pergamena con scritte indecifrabili.


 

    3) Bergamo (Clusone. Giacomo Borlone, Oratorio dei Disciplini. “Danza macabra”)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il terzo ed ultimo affresco, quello che mi ha colpita di più, rappresenta un tema molto frequente nel Basso Medioevo: la Danza Macabra, il rapporto tra vita e morte, rappresentato nell’eleganza di una danza, forse l’ultima che questi uomini avranno. Questi ultimi sembrano quasi essersi già preparati all’arrivo della Morte, pronta a sottrarli a tutto ciò che poi resterà di loro, ad eccezione della cosa forse più importante ma meno concreta: l’anima. I personaggi sembrano di un ceto sociale medio; non hanno portato un’eccessiva quantità di oggetti o, comunque, non ne hanno portato alcuno di valore, se non altro dal punto di vista economico. I volti degli uomini sembrano, per una volta, tristemente consapevoli del loro destino imminente, senza guardare con fascino o stupore l’ossuto compagno di viaggio. Rispetto agli altri due affreschi, questo presenta molti meno elementi, ma mi ha interessata maggiormente per la varietà di punti di vista dai quali può essere analizzato ed osservato, lasciando ampio spazio all’interpretazione. La vita e la morte sono opposti strettamente collegati, in un’alternanza che riporta alla mente la clessidra; ogni granello che scivola verso il basso alimenta una porzione, a discapito dell’altra. Capovolgendola il tutto si ripete all’infinito.

 

Caterina Canevari

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