SOMALIA ALLO STREMO
L’occidente sta giustamente focalizzando la sua attenzione sulla guerra in Ucraina, trascurando però altre emergenze come il drammatico periodo di siccità che si sta consumando in Somalia. Non è una novità perché questo Paese vive l'ennesima crisi alimentare, ma questa è molto forte e non se ne vedeva una del genere da più di quaranta anni. La carestia è stata aggravata dal Covid-19 e, per diverse ragioni, anche dall’invasione russa. Per quest’ultimo motivo arrivano infatti in Somalia meno risorse alimentari. L’ONU, la FAO, l’UNICEF e diverse altre organizzazioni umanitarie stanno cercando di aiutare lo stato e la popolazione con il loro contributo, ma è una corsa contro il tempo.
Bisogna dare una risposta umanitaria immediata, perché è uno dei pochi modi per contrastare la crisi dato che purtroppo il cambiamento climatico non è qualcosa di facilmente risolvibile. Intanto si continua a morire. Muore un bambino ogni minuto per la malnutrizione acuta e un bimbo su cinque è in grave stato di malattia a causa della siccità. Inoltre, c’è una forte carenza di ospedali, di medici e di medicine a rendere la situazione ancor più disperata. La popolazione è alla fame e agli stremi; dopo cinque stagioni delle piogge trascorse senza precipitazioni, i raccolti sono esauriti due mesi prima rispetto agli anni precedenti, anche perché c’è stata un forte invasione delle locuste che ha rovinato ulteriormente le colture. Gli animali stanno morendo per mancanza di acqua. E se non c’è acqua non c’è cibo. Di questo passo, fra qualche anno, la popolazione potrebbe emigrare in modo massiccio dalla Somalia in cerca di migliore qualità di vita, premendo ulteriormente su altri territori già in sofferenza per la corsa ad accaparrarsi le poche risorse disponibili.
La siccità e la continua insicurezza alimentare hanno infatti costretto centinaia di migliaia di persone a spostarsi dalle zone rurali e a stabilirsi nei centri urbani nella speranza di trovare cibo, acqua pulita, riparo e assistenza sanitaria. Ma è spesso un’illusione, un miraggio.
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Le persone in questa immagine sono in una fila ordinata, rispettosa e sanno aspettare pazientemente il momento nella quale riceveranno, da associazioni umanitarie, un piatto di riso con cui probabilmente dovranno sfamare un’intera famiglia. Il territorio è desertico e si vede che non piove da anni. In fila ci sono tutte donne vestite con tessuti e teli colorati e variopinti che rappresentano la cultura del Corno d’Africa. Gli uomini non sono presenti. Probabilmente, sono a lavorare, in cerca di una fonte di sostentamento.
Molte persone hanno anche cercato rifugio nei campi per sfollati, come la ragazza dell’immagine.
Lei è molto giovane e tiene in braccio quello che potrebbe essere suo fratello ma che con tutta probabilità, purtroppo, è suo figlio. Lui ha delle gambe scheletriche e informi, per colpa di una marcata malnutrizione e una vita poverissima. Nella foto li vediamo davanti alla loro “casa”, anche se non si può definire con questo nome perché è una capanna formata da stracci e bastoni. Gli sguardi con cui si rivolgono alla camera trasmettono preoccupazione e sembrano chiedere aiuto a chi può dare loro qualcosa.
“Per 20 giorni abbiamo camminato portando con noi i nostri figli. I nostri asini sono morti a causa della siccità e non avevamo soldi per un’auto. Siamo venuti in un centro dei Medici Senza Frontiere perché abbiamo sentito che le famiglie che avevano perso il bestiame potevano ricevere assistenza”. Questa è la testimonianza di uno sfollato somalo di 75 anni, che dopo un’intera vita si ritrova davanti a una situazione drammatica per il suo Paese. La frase fa capire la sofferenza di un intero popolo, ma anche gli aiuti che alcune associazioni stanno tendendo nei confronti di queste persone sfortunate. Come in questo caso, molti individui hanno trovato nei centri di accoglienza acqua, cibo e riparo oltre a un filo di speranza, ma le persone da soddisfare sono ben di più, e gli aiuti economici e di personale non sono sufficienti.
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Marco Bettoni
Tommaso Lafelli