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CORAGGIO, ALTRUISMO, FANTASIA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Intervista a Mattia Notari

Che percorso di studi hai affrontato?

1) Ho frequentato l’istituto tecnico commerciale Caio Plinio II, per diplomarmi come ragioniere ed avere un titolo in mano a 18 anni.

A quanti anni hai sentito che il calcio sarebbe potuta diventare la tua professione?

2) Il momento in cui ho firmato il primo contratto da professionista ho capito che il calcio sarebbe diventata la mia professione… Prima sono stati tanti i momenti in cui sognavo di poter emulare mio fratello che già giocava in serie A e B. Ma avevo anche la consapevolezza o, forse, la paura di non potercela fare. Sapevo che dovevo mettercela tutta ogni giorno perché mio padre mi ripeteva che sarebbe stata l’unica ricetta per poterlo far diventare un lavoro costante.

Quale persona ha avuto maggiore influenza sulla tua carriera?

3) Avere una famiglia presente ma non pressante mi ha aiutato ad amare il calcio e viverlo senza stress di dover essere qualcuno. Incontrare allenatori attenti al mio benessere mentale e non solo tecnico negli anni dell'adolescenza è stato però determinante per crederci ancora di più.

Secondo te qual è l’aspetto migliore di essere calciatore?

4) Essere calciatore professionista è un privilegio. Poter giocare per qualche ora al giorno con gente giovane e poter guadagnare dei soldi allo stesso tempo: una fortuna che dura pochi anni, purtroppo!

È stata una grande responsabilità avere sulle spalle una squadra di alto livello da gestire?

5) Le responsabilità si sono fatte sentire: verso i compagni, verso i tifosi, verso la mia famiglia. Ma prendersi responsabilità è sempre stata una cosa che non mi ha spaventato ma che mi ha aiutato a crescere, come professionista e come uomo. Tanti sono i momenti in cui ti senti solo. Ed avere alle spalle una famiglia presente è stato ed è determinante per non mollare!

Cosa succede quando la carriera termina e devi per forza cambiare professione e orientarti in un altro ambito?

6) Purtroppo, la carriera di un giocatore finisce quando in altri mestieri si inizia a fare sul serio. Io ho smesso presto perché il mio fisico aveva ancora energie ma la mia testa mi diceva che dovevo provare a iniziare un altro percorso, nuovo e pieno di incertezze, ma con la convinzione che fosse arrivato il momento di rimboccarsi le maniche ed imparare cose nuove che da calciatore non avevo avuto il tempo o la pazienza di imparare.

Come ti sei sentito quando sei stato obbligato a cambiare professione da un giorno all’altro?

7) Quando arriva quel momento, il tuo “status” cambia: da essere famoso e prendere qualche soldo, ti trovi ad essere “uno come tanti”, che deve dimostrare da capo quanto vale. Si ha paura di sentirsi inadeguati, hai la sensazione che le emozioni forti che hai vissuto ti abbandonino in un attimo. Non sei più al centro dell’attenzione e ti senti “vecchio” anche se alla fine hai solo…34 anni. A 11 anni da quando ho smesso, confesso che non mi è mai mancato giocare in mezzo al campo davanti a tanti tifosi che ti giudicavano. Non sentivo più la necessità e lo stimolo di correre in un calcio “minore”. Avevo una voglia matta di uscire dalla zona comfort e provare nuove emozioni altrove. E speravo di trovarle nello stesso ambiente del mondo del calcio magari con dei giovani. Ed eccomi qua, ancora a vedere partite e soffrire per vittorie e sconfitte però incidendo da fuori il campo… che strana sensazione!

È importante, secondo te, che scuola e sport vadano sullo stesso binario? Quanto la scuola è importante per un atleta professionista? Che consiglio daresti ad un ragazzo della mia età con tanta passione per il calcio?

8) La mia famiglia ha sempre insistito perché scuola e calcio andassero di pari passo: non solo perché la scuola portasse conoscenze utili alla mia vita oltre al calcio ma perché la sofferenza che potevo trovare nel combinare degli impegni sarebbe stata la sofferenza che avrei dovuto allenare durante la vita per raggiungere qualcosa. Oggi che non sono più un ragazzino, capisco quei richiami e quelle richieste di impegnarsi e non lamentarsi, di provarci, di ottimizzare il tempo, di ambire ad essere un ragazzo più completo. Oggi comprendo quanto sia stato importante. All’epoca ero troppo concentrato sulla parte della fatica e non vedevo a volte la luce in fondo alle giornate, domandandomi se ce l’avrei fatta a completare il ciclo di studi e a diventare calciatore. E quando in pochi giorni divenni ragioniere e firmai il primo contratto da professionista fu un sogno diventato realtà.

…il consiglio che posso dare a chi ha passione per il calcio a qualunque età è di vivere intensamente tutte le emozioni che porta questo splendido sport. E di farlo al di là della categoria nella quale si gioca: alla fine si tratta sempre di avere dei compagni con cui condividere un percorso, avversari cui dimostrare di essere più preparato e arbitri, dirigenti, allenatori che possono mettere un sacco di regole da imparare a rispettare perché serviranno nella vita di tutti i giorni!

                                          

 

 

Intervista a Mauro Pederzoli                            

Come è cambiata la professione di calciatore in questi anni?

1 - I cambi principali sono sicuramente rappresentati dallo sviluppo delle metodologie di allenamento, dall'utilizzo dei big-data per monitorare costantemente le prestazioni dell'atleta, dall'incremento del numero dei giocatori in rosa e dall'esigenza di saper vivere in ambienti multiculturali. Questo ha portato alla richiesta di una maggior professionalità e adattabilità, con il calciatore "moderno" costretto a prestare attenzione non solo al campo, ma anche ad altri aspetti, come ad esempio alimentazione, riposo, salute mentale, comunicazione interna ed esterna e così via.

Quali erano le caratteristiche essenziali che doveva avere un calciatore di qualche anno fa rispetto ad oggi?

2 - Le caratteristiche essenziali richieste ad un calciatore non cambiano e non cambieranno mai.

Qualità tecniche e fisiche sono state e restano fondamentali per fare questo lavoro. Una volta, forse con il solo talento, si poteva comunque restare a galla. Oggi rischi di non andare da nessuna parte se non affianchi alle qualità tecniche, la capacità di lavorare duro e competere tutti i giorni e poi la consistenza fisica, psicologica e emotiva.

Ci sono stati cambi importanti di valutazione?

3 - Nella valutazione di un giocatore entrano tutte le caratteristiche sottolineate sopra.

Cosa si cerca oggi di diverso da ieri?

4 - Rispetto al passato oggi è cresciuta, in chi deve scegliere i giocatori, la consapevolezza che bisogna trovare un atleta che, oltre ad avere tutte le qualità descritte sopra, sia anche in grado di inserirsi nella squadra e rappresentare un valore aggiunto. Pensare e scegliere quindi il calciatore vedendolo nel contesto di squadra e non ragionare solo sulle qualità individuali. Questo per quanto riguarda le prime squadre. Diverso il discorso relativo ai settori giovanili dove invece, nella ricerca del calciatore, continua a essere premiato il livello tecnico e fisico e, soprattutto, le prospettive di crescita.

Cosa può consigliare ad un ragazzo come me che vorrebbe intraprendere la carriera da calciatore?

5 - Giocare il più possibile è sempre la miglior maniera per crescere e migliorare. Poi, guardare. osservare e cercare di imitare i comportamenti di quelli più bravi. Infine, non perdere la passione.

che è il motore di tutto

 

 

 

Qui sopra ho riportato le interviste che ho effettuato a Mattia Notari, calciatore professionista dal 1985 fino al 2013, e di Mauro Pederzoli, attuale dirigente calcistico del Parma. Le risposte che mi hanno fornito mi sono servite a mettere in relazione lo sport, in generale, di oggi e quello del passato, come si vivevano esperienze, quali emozioni provocavano, quali erano i loro obiettivi. Tutto questo messo a confronto con quello che desideriamo io e le tante altre persone che amano lo sport. Leggendo e rileggendo l’intervista, vedo che Mattia, quando capisce di essere diventato un professionista, non rimane egoista, ma ringrazia tutte le persone che, a lui, sono state vicine nei momenti più duri. Dal mio punto di vista, cioè di un ragazzo con un'enorme passione per il calcio, vedo un atteggiamento molto più egocentrico oggi: quando vedo ragazzi della mia età che intravedono già il successo si trasformano in persone molto più superbe. Mattia è stato capace di rimanere con i piedi per terra, di non pensarsi già un giocatore completo, ma di lavorare sempre di più per ottenere sempre più alti risultati. Molto probabilmente, tanti dei suoi compagni, all’epoca, aspiravano al successo, ma non hanno avuto la lucidità di guardarsi dentro e capire quale fosse il modo per alzare l’asticella. Io, come tanti altri ragazzi e Mattia, abbiamo degli idoli, persone a cui aspiriamo, esempi da seguire sia dentro che fuori dal campo. Quelle persone che tecnicamente ci sembravano fortissime, quelle che un giorno avremmo voluto sfidare per sentirci “arrivati”, pronti. Di campioni a cui ispirarmi ne ho tanti , ma la persona a cui voglio assomigliare di più è, e sempre rimarrà mio padre. Ho avuto la fortuna di avere un papà che nella sua gioventù ha coltivato uno de suoi talenti, e devo dire anche con successo. Sin da quando ero piccolo pensavo in grande ma perché non mi ero mai accorto che avessi un campione in casa. Mattia Notari era ed è un amico di mio papà, hanno avuto la fortuna di giocare insieme nel Mantova. Riguardare i video, le cassette di quello che mio papà faceva in campo, mi appassiona, mi diverte, immagino a come potrei riprodurre la stessa giocata nella mia partita. Questo mi stimola molto, mi spinge a potercela fare. Come dice Mattia nell’intervista, anche l’intervento di allenatori, dirigenti e preparatori è fondamentale per migliorare sempre di più la tecnica e la mentalità. Tuttavia, penso che, se una persona non mette costanza e impegno in quello che fa, non potrà mai ottenere niente. Mauro, in una risposta alle mie domande, dice che un tempo il solo talento in qualche modo permetteva di tenere il giocatore a galla, ma oggi dice chiaramente che se non si affiancano alle qualità tecniche, la capacità di lavorare duro e la consistenza caratteriale non si va da nessuna parte.

In questo senso, quindi, deve partire da me la voglia di appassionarmi a questo sport perché questa è una cosa che nessuno mai ti potrà dare e che nessuno mi potrà mai insegnare.

 Da parte di mio papà c’è sempre stata la libertà di essere quello che volevo e che mi ha permesso di esprimermi nel calcio, ma di non dare nulla per scontato. Quando vuoi raggiungere un obiettivo devi sudartelo e guadagnartelo. Parlando con lui ho capito che a volte il valore della famiglia è decisivo, in alcuni momenti diventa cruciale, avere qualcuno che ti sostiene.  In questi giorni stiamo assistendo ad un vero e proprio spettacolo: Sinner che diventa campione per la prima volta in un grande Slam. Nel discorso che ha fatto dopo la vittoria ringrazia la sua famiglia per averlo lasciato libero, per non averlo rinchiuso, se questo non fosse successo probabilmente non sarebbe dov’è adesso. Chi è disposto oggi a fare questi sacrifici? Mio padre, facendo un esempio del passato, nella sua prima esperienza da calciatore professionista, ad Arezzo, non avendo la macchina, faceva avanti e indietro in bicicletta dallo stadio. A causa delle prese in giro e dalla preoccupazione di tutta la società ha dovuto lavorare sodo per guadagnarsela. Sul conto non era una di quelle macchine lussuose che vediamo oggi utilizzate dai calciatori ma una Fiat Uno usata. Chi farebbe oggi questo?

Questa, secondo il mio punto di vista, è l’unica strada per distinguersi, in ogni settore. Spesso, nell’ambito sportivo calcistico, c’è lo stereotipo di dover a tutti costi diventare qualcuno a discapito dello studio, ma dall’intervista e dall’esperienza di mio papà possiamo capire che oggi non è più così. Una volta non si dava così per scontato il fatto di diventare famoso, anzi, era molto più complesso. Lo studio è diventato fondamentale anche nello sport: le squadre di calcio professionistiche sono sempre di più formate da stranieri.  Ragazzi poco più grandi di me che, innamorati del calcio, inseguono il loro sogno andando a vivere in un altro stato. La conoscenza di lingue straniere sta diventando essenziale anche per le trasferte che i giocatori fanno, sempre per la comunicazione. La ricerca di talenti all’estero è diventato un affare internazionale. Un tempo le società in cui giocavano Notari e mio papà erano formato solo da Italiani. Noto anche che, dal lavoro che mio padre svolge, le società calcistiche sono sempre di più interessate a talenti stranieri. Dalla breve intervista a Mauro Pederzoli, uno dei cambiamenti principali osservati è sicuramente rappresentato dall’incremento del numero dei giocatori in rosa e dall’esigenza di saper vivere in ambienti multiculturali.  In passato anche per le società sportive, atteggiarsi in modo educato era segno di buon calciatore: erano disposte a dare multe salatissime ai calciatori che, per esempio, non si toglievano il cappello in luoghi chiusi, che non lavavano gli scarpini, che non ringraziavano o non salutavano… Mio papà conserva ancora alcuni tratti di quell'edizione. Purtroppo oggi i ragazzi non hanno più questa attenzione nel mostrarsi adeguati al contesto in cui si è: vediamo pettinature assurde, tatuaggi vistosi e accessori stranissimi... In alcuni tratti dell’intervista al dirigente Pederzoli ci fa capire quanto le caratteristiche richieste da un giocatore non sono mai cambiate e non cambieranno mai. Questo ci dice che ogni società professionistica, in ogni epoca, ha cercato di mantenere tutti sullo stesso livello, sempre. Quello che aiuta di più gli aspiranti calciatori, secondo Mauro, è giocare il più possibile, solo così si può crescere e migliorare. Come ho già detto prima avere idoli, persone da imitare nei comportamenti è essenziale ma la cosa più importante è non perdere mai la passione, che è IL MOTORE DI TUTTO!

 

Giacomo Tarana

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