IL SOFFIO DELL'ODIO
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Cara Kitty,
Ecco….è successo
All’alba dell’otto agosto del 1944 hanno fatto irruzione delle guardie della Gestapo, e ci hanno preso.
Dopo aver scoperto il nascondiglio sono entrati e, incuranti di capire che persone eravamo, hanno dato più importanza alla nostra fede ebraica e proprio per questo ci hanno arrestato.
Appena presi, io, la mia famiglia e la famiglia di Peter, siamo stati trasportati su un carro e infine su un treno merci, perché proprio come oggetti di scarto venivamo trattati, tra insulti e violenza.
Iniziato il lungo viaggio senza ritorno, per una destinazione a me ignota, c’era il panico generale, gente che cercava di capire dove andavamo, gente che inveiva verso i tedeschi, altri che pregavano e molti, compresa me, che cercavano di trovare gli aerei degli alleati e si rassegnavano del fatto che avrebbero solo sofferto.
Finito il viaggio, durato qualche giorno, dei soldati ci fecero uscire dal treno in fretta e di lì in poi iniziò il lento ma violento percorso di sterminio che fece perdere ai deportati prima la dignità e poi la vita:
da subito fummo separati tra donne e uomini, così non vidi più mio padre.
Successivamente noi femmine siamo state fatte spogliare, rasare e lavare sotto acqua gelata; gelata soprattutto perché è stata uno dei tanti simboli della disumanizzazione che ho dovuto soffrire.
Dopo ci hanno dato un uniforme a righe e siamo state portate, in marcia e con delle bastonate, in baracche.
A differenza dei bambini e degli anziani che sono stati uccisi immediatamente perché ritenuti “inutili” per lavorare nel campo.
D'altronde “il lavoro rende liberi”, come dice la frase scritta sui cancelli di Auschwitz (il primo campo in cui fui portata) e gli “inutili” non meritavano la libertà, come tutti noi ebrei deportati.
Nelle baracche di Auschwitz passai solo un mese, poi con Margotte fui trasferita a Bergen-Belsen, da lì in poi non rivedrò mai più i miei genitori.
La vita nel campo era una tortura, continue speranze di un vento di libertà venivano soffocate dall’odio innaturale provato per noi ebrei, poi le continue malattie e maltrattamenti portavano via la vita di troppe persone.
Infatti, tale cattiveria e cinismo in modo programmato mi facevano perdere le speranze nell’umanità, ma pensavo che finchè ci sarebbe stato qualcuno con il coraggio di credere nella vita e nel potere di arti come la scrittura una briciola di fiducia sarebbe rimasta.
Proprio con questo talento, quello della scrittura, ho potuto trovare quell’amica legata a me da un sentimento talmente forte da potergli rivelare tutto ciò che mi passava per la testa, fino a quando l’indifferenza di molti ha fatto sì che perdessi anche una matita e un foglio di carta…
Così, come tutto è iniziato nel 1942 con la fuga ad Amsterdam, nel 1945 morì Margot e poco dopo io, ad un passo dalla libertà…
Però pensandoci, cara Kitty, quel tanto audito successo che volevo raggiungere con la mia capacità innata di saper scrivere l’ho raggiunto.
Perchè mio padre, Otto Frank, è sopravvissuto all’olocausto e ha pubblicato questo diario, il MIO diario, il frutto dell’ingegno di una ragazzina mai totalmente capita e che ha vissuto soffocata da una storia di indifferenza e odio che ha cercato di raccontare con la sua unica “vera” amica Kitty.
Alessandro Micheloni