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LA FORZA DEL PASSATO
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Io ho scelto di raccontare la professione di farmacista, perché fin da piccolo mi ha appassionato vedere delle persone che si prendevano cura di altre, ma anche per continuare la storia della nostra farmacia, perché questa è gestita tuttora da mia mamma, prima da mia nonna e prima ancora da mio bisnonno e il mio trisavolo; quindi, è più di cento anni che esiste questa attività. Ho scelto di intervistare mia prozia perché volevo comprendere meglio cosa fosse cambiato nella storia di questa attività, visto che lei è stata la prima donna, insieme a mia nonna, a diventare il direttore della farmacia. Da più di cento anni la farmacia è presente in questo paese, ha vissuto quattro generazioni di Lazzarini, i proprietari della farmacia, per tanto io sarei la quinta. Mi ha sempre affascinato anche che i farmacisti si approccino alle persone in maniera confidenziale, come se ci fosse un rapporto familiare e di amicizia: sapete quando si dice “Il segreto professionale”? Ecco, questo è proprio vero, quando una persona confida al farmacista alcune problematiche fisiche o psicologiche, lui non le rivelerà mai, per nessun motivo. É questo che mi affascina di questo mestiere. Dopo i primi due proprietari, mio bisnonno e il mio trisavolo, i titolari della farmacia sono stati solo donne: mia prozia poteva chiarire cosa fosse cambiato nella storia della professione sia in questo senso che in generale. Lei mi racconta che un piccolo cambiamento c’era già all’università, perché gli iscritti, sia uomini che donne, erano figli di farmacisti proprietari di farmacie, perché secondo le leggi del tempo la successione della proprietà veniva ceduta solo al figlio, questo oggi non accade più e tutti possono acquisire la farmacia indipendentemente dal legame di parentela. Per quanto riguarda la percentuale approssimativa di uomini e donne che frequentava la facoltà, un tempo si poteva calcolare un 40% di farmacisti uomini e un 60% di donne.

Oggi mia mamma mi racconta che la sua facoltà era composta per la stragrande maggioranza di ragazze. I cambiamenti sono stati molteplici negli anni sia nella professione vera e propria sia nell’immagine del professionista. Un tempo il farmacista, insieme al medico ed al prete, era  una figura di spicco, molto rispettata.  Dal “SIUR DUTUR” siamo ormai da tempo passati al TU che, però, ha permesso una maggiore confidenza, facendo sì che il farmacista diventasse anche il confidente ed il punto di riferimento per chiedere consigli quando il medico è impegnato. A questo si sono poi aggiunti i servizi come la misurazione della pressione, le analisi del sangue, delle intolleranze, delle ossa a prezzi molto contenuti o gratuiti. Oggi mia mamma può prenotare tutti i tipi di esame, come se fosse in un ospedale. Le preparazioni galeniche, che sono farmaci prodotti dal farmacista, oggi sono molto ridotte, ma mia zia ricorda quando, fresca di laurea, ha dovuto confezionare pillole con l’oppio e portare ai pazienti bombole di ossigeno. Questo oggi sarebbe impensabile per tutti i limiti legati alla sicurezza ed alle regole ASL (Azienda Sanitaria Locale). Leggere inoltre le grafie dei medici per i farmacisti di allora era un’impresa difficile, oggi superata dall’avvento delle ricette dematerializzate che permettono una lettura chiara e consentono al paziente di recarsi in qualsiasi farmacia italiana. In qualsiasi tempo, comunque, le caratteristiche di un farmacista, oltre alla preparazione di base, devono essere la volontà di assolvere al proprio dovere con disponibilità, rispetto e da una buona dose di empatia. Chi viene in farmacia, continua mia zia Milly, può avere un semplice mal di denti, un sintomo più grave o dubbi sulle posologie dei farmaci prescritti: bisogna sempre ricordare che chi abbiamo davanti può soffrire, può aver bisogno di parlare, di spiegarsi e di essere capito. Questi dati forse sono più presenti nell’animo delle donne? Chiede ironicamente mia zia. Forse si, ma con la volontà si può tutto, mi suggerisce. 

Mia mamma, che ha fatto in tempo a vedere suo nonno lavorare, mi parla di lui come un modello di comportamento e di professionalità: mi ha sempre detto che la sua umanità lo rendeva molto amato, e questo valore non dipende certamente dal sesso di una persona. Lui le ha insegnato a saper trattare con tutti, ad adattare le sue conoscenze in base a chi deve comunicarle e mi ha sempre detto che per fare questo non basta conoscere la teoria, ma serve saper interagire con le persone. Mia zia mi mostra foto in cui sua mamma fa filòs di fronte alla vetrina della farmacia e mi racconta che lei e la nonna a volte portavano i ferri per fare maglioni nel tempo libero. Oggi mia mamma non riesce a fare tutto questo perché i servizi in farmacia sono tantissimi, non solo quello di servire la clientela, ma anche di prenotare visite, esami, vaccini. Intervistando mia mamma, mi racconta che le capita a volte di parlare anche l’inglese perché oggi il nostro paese è diventato ormai popolato da tante persone straniere. Io vorrei fare questo lavoro perché mi ha sempre appassionato e quello che mi piace è il fatto di aiutare gli altri, non solo con farmaci, ma anche con le parole e gesti per il loro benessere psicologico. Quando sono in farmacia vedo molte persone che si sono affezionate a mia mamma e alle sue colleghe, e anche io come loro vorrei molti rapporti umani che mi permettano di crescere e sentirmi utile. A volte capita che io e mio fratello andiamo a portare farmaci a persone più anziane e questo mi dà soddisfazione perché ho creato un nuovo rapporto con persone che non conoscevo. Adesso, ogni volta che vado a fare questo servizio, sono felice di parlare anche solo un quarto d’ora, facendo loro compagnia visto che molto spesso sono persone sole. Oggi ormai alcuni pazienti, quando telefonano in farmacia perché non riescono ad andare a prendere una medicina, chiedono subito di me e di mio fratello proprio grazie al rapporto che si è creato. Spesso capita anche che in farmacia venga un ragazzo molto speciale che viene da Cividale, Mauro, detto Maurone, che porta farmaci e fa la spesa a tutte le persone del suo paese. La farmacia per lui ormai è diventata la sua seconda casa, peccolò rché adesso si trova bene con mia mamma, mia nonna e tutte le dipendenti, creando una seconda famiglia. Succede spesso che mia mamma si affezioni a persone che stanno soffrendo e che venga contagiata dalla loro tristezza. I rapporti umani, infatti, in questo lavoro non sono solo la felicità di conoscere qualcuno, ma anche il dolore di vedere una persona cara soffrire.

Vorrei concludere con una frase che dice mia zia nell’intervista, ovvero che per fare questo lavoro non serve solo la pratica, ma bisogna anche saper interagire con le persone che stanno dall’altra parte del bancone, perché se ti manca quella “CONOSCENZA” non puoi ritenerti un vero farmacista.

Niccolò Tarana

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