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LEZIONI DI SOGNI

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Storie a lieto fine, storie di persone che ce l’hanno fatta, che si intrecciano tra loro in un reticolo di passioni ed ambizioni che costituisce l’essenza delle vite di tre personaggi di cui trattano gli articoli dell’edizione del 24 ottobre del Corriere della Sera esaminati: il primo racconta la storia di un maestro vetraio senegalese che ha passato tutta la vita nell’interminabile ricerca della bellezza, il secondo di un atleta autistico che ha reso la corsa il suo principale mezzo di comunicazione con il mondo esterno ed il terzo quella di una filosofa talmente brillante da far passare anche la sua cecità ben oltre il secondo piano. 

“Eden”, “imparare ad aspettare”, “amo il bello”, “dare piuttosto che attendere”, “diversità vantaggio”, “potenzialità”, “sport momento felice”, “dare benessere”, “piacere”, “inclusione”, “integrazione”, vita di “entusiasmante eccezionalità”, “vita felice e piena”, “qualità magica che sembra emanare questa donna”, “semplicità degli intelligenti”: queste sono le espressioni chiave che si colgono nei testi letti, tutte espressioni che richiamano la positività, lo stare bene, il successo inteso nel senso più alto (ovvero come equilibrio interiore), obiettivi raggiunti dai protagonisti e, come conseguenza, la pace ed il benessere. 

Moulaye Niang ha trovato a Venezia “il suo Eden”, come lui lo definisce. A Casamance, un villaggio  nel sud del Senegal, insieme alla natura incontaminata è fiorito anche il suo amore per la bellezza; la grande passione per l’arte del vetro che ha saputo (e potuto) ritrovare di nuovo qui, in Italia, a Murano. È il primo maestro vetraio riconosciuto anche dagli artigiani veneziani. “Muranero”, lo chiamavano, prendendolo in giro. Oggi “Muranero” è diventato il nome della sua attività. “Amo il bello, anche spirituale: cerco di trattenere solo il positivo di ciò che ho attorno, al brutto non faccio caso. E così è il bello che cresce, il resto svapora”. Dalle sue parole nasce un luogo dove il tempo scorre lentamente, dove la natura e l'arte si fondono e dove la diversità culturale diventa una ricchezza. 

Allo stesso modo, seppur trattandosi di tutt’altro contesto, Mario Bertolaso, 23 anni, dimostra quanto, in realtà, la diversità possa rappresentare un vantaggio, anche nel mondo dello sport. Mario è nato per correre, anche più veloce dell’autismo. Lo confermano tutte le medaglie ed i record ai Global Games 2023 di Vichy, il più importante evento mondiale per atleti con disabilità relazionali. Bertolaso, sin da bambino, ha percepito un forte legame con la corsa, nonostante tutto e tutti. “Non ce la farai mai” gli dicevano, quando ha iniziato a correre, a dodici anni. Lui però non si è mai arreso; il suo Eden è la pista di atletica. Dove tutto per lui passa in secondo piano, anche l’autismo. Scende in campo, corre e vince. “Quando ho iniziato mi ripetevano che non ce l’avrei fatta. Invece in allenamento mi sentivo bene, libero. (...) Lo sport va vissuto senza pressioni. Deve dare benessere, non diventare un’ossessione, dev’essere un piacere, non una tortura”. 

Altra storia esemplare è quella di Paola Gamberini: la sua forte motivazione nasce e trova fondamento, come lei stessa afferma, nella sua famiglia, perché “mia madre ha sempre fatto di tutto affinché potessi diventare autonoma nel muovermi, compreso il chiamare una grande esperta inglese e farmi frequentare un corso per non vedenti”. Il fatto che sia non vedente non le ha dunque impedito di impegnarsi e mettersi alla prova: “furono loro -le compagne di liceo- a spingermi a provare il concorso alla Scuola Normale di Pisa. Provai. Riuscii a superarlo. (...) Per garantire l’anonimato delle prove scritte, i miei dovettero pagare un notaio al quale io dettavo lo scritto e che garantiva per me”. Anche la sua disabilità (dovuta ad una malattia che l’ha purtroppo accompagnata fin dalla nascita) potrebbe passare inosservata di fronte all’”entusiasmante eccezionalità” della sua esistenza. Nel caso di Paola Gamberini, l’Eden si rispecchia nella sua grande passione per lo studio e, nello specifico, per la filosofia, interesse che la porta a tradurre, servendosi delle tecnologie moderne, la “Critica della ragion pratica” (1788), di Immanuel Kant, uno dei testi filosofici più importanti dell’illuminismo e del criticismo. Non una semplice fiaba, ecco. “Ho accettato solo perché questo testo affronta temi etici molto vicini al mio campo di ricerca. (...) Grazie a un display Braille da collegare al pc, a mano a mano leggevo, traducevo, confrontavo”. L’altra aspirazione della brillante filosofa è poter educare e sostenere le persone con disabilità visiva. In un luogo preciso di Bologna, l’Istituto dei Ciechi “Francesco Cavazza”, la Gamberini ha potuto dar seguito anche a questo desiderio, traducendolo in realtà. Si dedica infatti ad un ambizioso programma di supporto e formazione tuttora in via di sviluppo nel quale i ragazzi con disabilità visiva vengono inseriti nella società. “La mia vera soddisfazione è l’aver contribuito a sviluppare, al Cavazza, un software che mette a disposizione innumerevoli fonti dal greco antico anche per i non vedenti”. 

Attraverso la lettura di queste storie ci si rende conto di come, via via, il racconto parli- metaforicamente- sempre meno dei protagonisti e sempre più di noi. Tutte quelle analizzate sono storie di vittoria. Storie di empatia, socialità, integrazione, inclusione, in contrapposizione alla discriminazione, storie che ci portano a riflettere profondamente sulla nostra quotidianità e su quello che per tutti noi dovrebbe essere il vero obiettivo, poichè ci dimostrano ed insegnano che anche un’esperienza di iniziale sofferenza (come quella vissuta da una persona che dall’esterno viene abitualmente considerata “diversa”) ha portato il protagonista alla vera serenità. 

Dopo la lettura dei testi oggetto di questo commento, il mio pensiero ha richiamato subito lo stralcio di “Tutto in un punto” (tratto da “Le Cosmicomiche” di Italo Calvino) che è stato oggetto di una nostra riflessione e discussione nelle ultime settimane, ritrovando in questo testo numerose affinità. “Tutto in un punto” affronta le tematiche della difficoltà delle relazioni sociali e della frustrazione, associandole ad individui di mentalità “stretta” e, dunque, discriminante, che storcono il naso alla vista del nuovo, del diverso, dell’altro. In un solo punto, infatti, non è possibile avere una prospettiva ampia e varia; trovandosi in un punto si può guardare da una sola angolazione. Da un solo punto, lo sguardo non può che essere limitato ed ingannevole. Un’unica prospettiva è concessa, dando vita ad un pregiudizio senza fondamento e dunque ad una mentalità necessariamente ristretta. Per chi sta in quel punto, non è pertanto possibile comprendere l'inutilità di contrasti ed egoismi: come si poteva definire gli Z’zu una famiglia di immigrati, esistendo solo un punto di origine? Chiudersi all’egoismo può solo danneggiare. Lo spazio ed il tempo sono stati creati per permettere all’uomo di godere della bellezza e dei benefici dell’incontro. 

E così, nelle tre storie lette, ho ritrovato questo insegnamento: l’importanza di andare oltre, di fare di un pregiudizio solo un punto di partenza che permetta di superarlo e di arrivare ad un grande risultato, all’Eden, il culmine di un percorso che solo persone “semplicemente intelligenti” possono raggiungere.


 

Caterina Canevari 

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