ORFANI DI CASA
In questa LXXIV edizione del Festival Sanremo, Ghali ha cantato il suo nuovo singolo “Casa mia”. Prima di cantare “Casa mia”, Ghali ha cantato una canzone araba “Bayna”, e la canzone che lo ha portato sui palchi più importanti, il suo più grande successo “Cara Italia”, e ha concluso l'esibizione con la famosissima canzone “Italiano vero” di Toto Cutugno. Non servono interpretazioni, lui stesso motiva le sue scelte “Bayna mi ha permesso di mantenere la promessa di cantare in arabo sul palco di Sanremo. Cara Italia ha portato un arabo in tutte le casa degli italiani. L'italiano vero di Toto Cutugno è l'unica canzone italiana che mia madre cantava quando ero bambino ed è l'ultimo ricordo che ho dei miei genitori insieme. Amo e credo in questo paese che ripudia la guerra per costituzione. Sono nato in Italia, mi sposerò in Italia, i miei figli saranno italiani, morirò in questo paese. Sono anch’io un italiano vero.” “Casa mia” è il nesso di tutto. Una sintesi assoluta di queste tre canzoni. “Penso sempre di rappresentare quei ragazzi di quartiere con genitori che hanno faticato tanto per crescerli”. È tutto lì: in poche parole, poche righe, che al loro interno nascondono la storia di un'intera generazione. La mia generazione, la sua generazione. La generazione di chi ha radici oltremare, ma una storia qui: nella terra che i nostri genitori hanno sognato. Nella terra che si trova oltre il mediterraneo. Invece, noi, la seconda generazione, sogniamo l'America. La terra oltre l'Atlantico. Nati e cresciuti in Europa. Siamo figli di due culture contrastanti, e il rischio è quello di essere divorati da una di esse. Il rischio è quello di dimenticarsi delle proprie radici, o di non riuscire a trovare spazio per altro, e rimanere eternamente vincolati da esse. Noi cerchiamo costantemente un punto di incontro, una via di mezzo, tra queste nostre due vite apparentemente eterogenee. Con il tempo, questo punto di incontro inizia ad assomigliare a un luogo idilliaco. Ma noi siamo sicuri: c’è. Qualcuno lo ha trovato. Infine dei conti è la stessa terra. Loro, le nostre terre, condividono lo stesso ossigeno, lo stesso cielo, le stesse stelle. Eppure, queste terre non riescono a trovare un nesso. La luna è sempre la stessa. Le nuvole anche. Cambiano gli uomini. Che danno sfumature diverse a tutto. Le nuvole della mia casa, della sua casa, della nostra vecchia casa, sono nere, per colpa della polvere bellica. Le nuvole nere in questa terra derivano dalla ricchezza: aziende (inquinamento). Ma entrambi, stanno distruggendo questa terra. Semplicemente in maniera diversa. I nostri genitori sono scappati per evitare di essere distrutti assieme ad essa. Hanno abbandonato la loro terra. Qualche familiare è rimasto. I profumi, le tradizioni, i negozi, la lingua. Hanno abbandonato tutto, perché la loro bellissima terra è stata rovinata. O non è abbastanza per le loro ambizioni. Ma per noi, è un'altra storia. Loro hanno una terra da poter chiamare propria. Noi, no, non ancora. La loro terra non è la nostra. L'abbiamo solo assaporata. In questa terra invece, possiamo anche aver ottenuto un pezzo di carta che dichiara e certifica la nostra cittadinanza, ma gli sguardi parlano. Non siamo ancora italiani. Per loro: per gli italiani “veri”. Sono quegli sguardi conservatori, malati, che non ci accetteranno mai, e che ci impediscono di diventare “italiani veri”. Bisogna superarli. Ci si abitua. Ma è sempre difficile. Per tutti. Ma, forse, lo saremo, lo saranno i nostri figli, che come adulti avranno intorno la nostra generazione; generazione che ha accettato la nostra presenza. Forse. Cerchiamo un nesso perché siamo orfani. Orfani di qualcosa di nostro. Per noi c’è solo quel idilliaco punto d'incontro. Questo accomuna tutti noi, e nella parola tutti includo innanzitutto noi: i “fortunati”, cioè coloro che vivono su questa terra ambita e di coloro che si sono visti morire il sogno lì: nel mediterraneo. Ghali nella sua canzone parla anche di loro, senza sfacciati riferimenti, ma parla di loro: dei nostri fratelli in Palestina. Coloro che sono rimasti in quella terra ormai bellica. “Ma, come fate a dire che qui è tutto normale per tracciare un confine con linee immaginarie bombardate un ospedale per un pezzo di terra o per un pezzo di pane non c’è mai pace”. Ghali ha parlato a nostro nome, portando questa riflessione nei palchi principali. Quella è la terra dei nostri fratelli. In Palestina, nessuno dei due fronti ha una terra. Affermano entrambi di averla avuta. Però, Israele, impone un’idea, quasi alterando la realtà. L'ambasciatore israeliano ha affermato questo: "Ritengo vergognoso che il palco del Festival di Sanremo sia stato sfruttato per diffondere odio e provocazioni in modo superficiale e irresponsabile. Nella strage del 7 ottobre, tra le 1.200 vittime, c’erano oltre 360 giovani trucidati e violentati nel corso del Nova Music Festival. Altri 40 di loro, sono stati rapiti e si trovano ancora nelle mani dei terroristi insieme ad altre decine di ostaggi israeliani. Il Festival di Sanremo avrebbe potuto esprimere loro solidarietà. È un peccato che questo non sia accaduto”. Questa affermazione, censura tutto ciò che è successo dopo e prima del 7 ottobre. A risposta di questa lamentela, in una serata del festival di Sanremo si è letto uno stralcio che afferma ”Ogni giorno i nostri telegiornali e i nostri programmi raccontano e continueranno a farlo, la tragedia degli ostaggi nelle mani di Hamas oltre a ricordare la strage dei bambini, donne e uomini del 7 ottobre. La mia solidarietà al popolo di Israele e alla Comunità Ebraica è sentita e convinta” . Questo comunicato è servito per “equilibrare le cose”. Quest’Italia, non è quella che sognavano i nostri genitori. Ghali non vuole parlare di politica, lui stesso dichiara di non poterne parlare, data la complessità della situazione. Ma noi, non parliamo di politica, chiediamo l'immediata cessazione del fuoco per loro: per quei sognatori, quegli ipotetici geni, dottori, astronomi, che devono sognare oltre il fumo degli spari. Lo facciamo per preservare la loro casa. Eppure, la guerra continua, senza tener conto delle vite che miete. Vite che entrambi i fronti, secondo un’idea di giustizia, sono pronti a sacrificare.
Ad oggi, tutti noi, e non parlo solo coloro che perdono o che cercano un terra, ma anche di coloro che non si rispecchiano nella propria (es: Il protagonista del romanzo: il giovane Holden, libro che tratta il medesimo argomento che Ghali tratta con la canzone “Casa mia”) stiamo cercando una terra nostra. Luogo che mi appare ancora troppo lontano. Annebbiato, ancora troppo poco definito. Ma c’è chi ci è riuscito. Ghali è il perfetto esempio. Attraverso canzoni, dolore, sofferenze, grida, è arrivato lì, oltre tutto e tutti, superando tutti quegli sguardi. Lo ha raggiunto, quel luogo idilliaco. Luogo in cui l'anima può riposare. Basta il nome di questo “posto” per riscaldare il cuore. Parola che trema nelle nostre bocche. Parlo di lei, della Casa.
Sohaib Nasr Allah