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FILIPPO BRUNELLESCHI

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                        "Chi mai sì duro o sì invido non lodasse Pippo architetto vedendo qui struttura sì grande, erta sopra e' cieli, ampla da coprire con sua ombra tutti e' popoli toscani, fatta sanza alcuno aiuto di travamenti o di copia di legname, quale artificio certo, se io ben iudico, come a questi tempi era incredibile potersi, così forse appresso gli antichi fu non saputo né conosciuto?"

(Leon Battista Alberti, De Pictura, Prologo)

 

Poco più di seicento anni fa - il 7 agosto del 1420 – con una grande cena d’inaugurazione a base di meloni e vino, fu cominciata la costruzione della Cupola del Duomo di Firenze, su progetto di Filippo Brunelleschi. La cupola è il simbolo del Rinascimento italiano, la più grande volta in muratura del mondo, col maggior diametro della storia e la prima opera di architettura moderna in grado di superare quelle dell’antica Roma!!!!
In sedici anni, meno di cento operai specializzati costruirono questo capolavoro assoluto di ingegneria, costituito da più di 4 milioni di mattoni, con un peso complessivo stimato intorno alle 28.000 tonnellate, per un diametro esterno di 54,8 metri e una elevazione di 116 metri da terra, se si calcola la lanterna sommitale, che da sola è alta come un palazzo di sei piani, ed è fatta di 600 tonnellate di marmo bianco…
Questo gigante di pietra e mattoni mantiene ancora il segreto della sua costruzione. Quel che sappiamo è che furono costruite non una, ma due cupole: una di sostegno all’altra e che nello spazio intermedio alle due calotte sono inseriti due costoloni centrali e due di spigolo per ogni vela e una serie di arconi orizzontali. Tutto è rinforzato da catene nascoste che la cingono. Sappiamo poi che la cupola fu innalzata grazie a geniali macchine ideate dallo stesso Brunelleschi (gru e argani mossi da animali) e che l’opera fu condotta su ponteggi aerei, dotati di ascensori e parapetti…ma anche che non furono costruite centine di sostegno (non esistevano all’epoca tronchi d’albero abbastanza lunghi per coprire un tale diametro!). Come fu possibile completarla? Su questo gli studiosi ancora si dividono…

                                                                                                                                            

 

7 Agosto 1420

 

L’alba di un giorno destinato a consegnarmi alla storia, o alla rovina. La cupola che mi è costata gli ultimi anni di lavoro, un’infinità di critiche e di notti insonni, oggi vedrà la posa della prima pietra. Mi avvio verso il cantiere, dove mi attende una piccola folla di fabbricieri, muratori, carpentieri, falegnami, oltre agli immancabili curiosi. La preparazione di questa autentica sfida al cielo e alla forza di gravità ha richiesto l’acquisto, con i soldi dei cittadini, di 4 milioni di mattoni. Uno sull’altro, saranno posati su un diametro di quasi 55 metri. Nei miei calcoli ho immaginato qualcosa come 28000 tonnellate. Forse ha ragione chi mi considera pazzo, ma io ho fede nei numeri. La loro verità non inganna. Sta all’uomo penetrarne l’enigma, e condurli là dove il suo pensiero decide. Solo per il saggio nulla è invisibile.

Dall’altra parte della piazza, lavora il cantiere di Lorenzo. Lorenzo Ghiberti. Tra me e lui la competizione è storia antica. Entrambi riconosciamo all’altro il talento, ma poi non sappiamo tenere la lingua a freno. Da sempre rincorriamo gli stessi sogni, ci contendiamo gli stessi lavori. D’altronde, a Firenze, siamo tanti ad avere qualcosa da dire e da lasciare a chi verrà dopo di noi.

Arrivo, finalmente, al cantiere. La camminata veloce in una città già afosa, nonostante il sole stia spuntando proprio ora, insieme all’ansia che cerco di tenere a bada, mi rendono difficile respirare. Nonostante mi dia arie da spavaldo, dentro di me tremo. Ho paura. Gli ultimi passi ed eccomi. So che Lorenzo è da qualche parte, nascosto tra la gente, o dietro le porte del Battistero, a scrutare la scena, a sperare nel mio fallimento per riderne ed accusare chi ha incaricato me anziché lui. Il mio passaggio è seguito da mormorii confusi. Parlano di me, inevitabile. Dai frammenti di discorsi che riesco a carpire intercetto parole che si rincorrono: “la cupola non potrà reggere”, “è la rovina della città”, “ormai Firenze è un covo di pazzi che si credono artisti”. Ma a questo punto ritrovo in me l’antico orgoglio, il Filippaccio che mi rende diretto fino alla violenza, fiero di me senza paure. “La cupola si innalzerà, cittadini. Sarà l’orgoglio di Firenze, la sua sfida al cielo. Alta come i monti che svettano all’orizzonte”. Mentre parlo controllando la stabilità della mia voce, non posso fare a meno di pensare ai lavoratori che dovranno salire fin lassù, al rischio che corrono in mia fiducia, e alla sciagura anche economica di un eventuale fallimento. Una cupola pesante come una montagna. Dovrà appoggiarsi su un tamburo di forma ottagonale a circa cinquanta metri di altezza. Dovrò assolutamente impiegare delle impalcature di legno che sostengano la struttura fino a quando la malta non si sarà completamente saldata.

Che Dio mi assista… come ha assistito gli operai che secoli fa hanno realizzato il Pantheon a Roma”.

Al lavoro!

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Giacomo Tarana

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