UNA SCELTA D’AMORE?
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“Mi chiamo Enea, o meglio, questo è il nome che mi hanno dato quando mi hanno trovato. Sono un neonato abbandonato nello spazio della Culla per la Vita del Policlinico di Milano. Questa iniziativa ha lo scopo di poter “abbandonare” i propri figli dandoli in cura a famiglie o gruppi di solidarietà. La mia mamma oggi mi ha portato proprio qui”.
Questa è una breve descrizione, in prima persona, dei primi attimi di vita di Enea. Ma l’amore di una madre non dovrebbe superare qualsiasi problema?
Questi casi di “abbandono” sono dovuti a una vita troppo difficile per essere mamma o è il senso di genitore che sta diventando qualcosa di carnale e fisico?
Per rispondere a queste domande sono partito dal considerare la situazione socioeconomica della donna, se vogliamo definirla così e non ragazza, ovvero una persona che una volta rimasta incinta è stata abbandonata dal marito e, senza lavoro, ha aspettato il suo bambino. Ad aggravare la situazione è il fatto che la donna avesse difficoltà economiche.
A questo punto si potrebbe pensare che questa neo-mamma abbia fatto questo gesto non con cattive intenzioni ma per dare un futuro dignitoso al figlio.
Da questa prospettiva è qui che si vede quanto una mamma vale e ha il coraggio di “sacrificarsi” per il figlio, morendo dentro ma allo stesso tempo festeggiando.
Però, da questo atto di prodezza, viene da chiedersi se questo si possa definire essere madre perché la mamma è quella persona che vive per il figlio, non abbandonandolo.
Quindi stiamo perdendo il significato di essere madre?
Io credo di sì per il semplice motivo che il genitore deve essere principalmente una figura di riferimento, non una normale persona che ti mette al mondo. Un genitore deve essere la colonna vertebrale del proprio figlio che lo aiuta riempiendo i vuoti che un gemito può avere a vivere in una società malata.
Ed è proprio questa società malata che potrebbe rendere difficile la vita di genitori che si sentono abbandonati in un mare di squali in cui, difendere il figlio, diventa secondario perché loro stessi non riescono a crearsi ossa solide su cui puntare.
Molti danno “la colpa” alle donne stesse, perché sono poco sicure di sè, ma in realtà non esiste “colpa” o accusa: c’è solo una grande paura e incosapevolezza da parte di una persona che decide di ampliare il proprio amore rendendolo carne.
Da questa storia possiamo capire che a fare un bravo genitore non è la ricchezza, la bellezza o lo stato sociale ma il coraggio, la consapevolezza e l’affetto che si prova nei confronti del proprio figlio.
Alessandro Micheloni