top of page

SONO UN GENIO!

​

​

​

​

​

 

Le mie mani tremavano, la paura era tale da farmi sudare. Era un giorno caldo, lo ricordo bene, molto caldo. Ogni secondo che passava mi sentivo sempre più ansioso.

Ogni minuto provavo sempre più agitazione, come se il mio corpo fosse una bomba pronta ad esplodere. Potevo intravedere centinaia di persone sedute, pronte ad ascoltarmi. 

E se mi fossi bloccato? Se avessi dimenticato tutto? Queste domande continuavano a rimbombare nella mia testa. D’un tratto l’assistente mi chiamò sul palco, augurandomi sottovoce buona fortuna. 

Tutta la folla applaudì aspettando che io entrassi. Facendomi coraggio salii, osservai il pubblico e appoggiai nervosamente il foglio stropicciato sul leggio. Ci misi qualche secondo a realizzare che mi trovavo proprio lì, in Svezia, a fare il discorso di accettazione del mio premio Nobel.

Mentre esponevo il mio discorso la mia mente cominciò a vagare, a perdersi nel ricordo delle ingiustizie subite nel corso della mia vita. Questo premio Nobel in realtà è una farsa! Mi è stato assegnato per la scoperta dell’effetto fotoelettrico, usato come scusa, e non per la Teoria della Relatività, rivoluzionaria, anche se non ancora dimostrata. 

Poi, all’improvviso, ripensai anche alla mia infanzia, di quanto fossi stato preso in giro, considerato inferiore perché, secondo gli adulti, “avevo serie difficoltà di comprensione e di lettura”. Ero sempre solo, senza amici, andavo male a scuola anche se ero affascinato dalla fisica: quante giornate passate a “giocare” con le equazioni! 

Rammento ancora quando mi regalarono una bussola. L’ago puntava verso la finestra della mia camera. “Quello è il Nord”, mi diceva papà facendo ballare i suoi pesanti baffoni. Io allora mi spostai, feci una giravolta, mi misi a testa in giù e quell’ago era sempre diretto verso la finestra. Una forza invisibile guidava la bussola! 

Fu proprio in quel momento che decisi che avrei indagato i misteri invisibili. Smontavo sempre tutti i miei pochi giocattoli, che custodivo gelosamente, per capire come funzionassero. In classe invece fui il classico studente distratto, non studioso e che non si impegna. A quindici anni fui espulso dal ginnasio di Monaco per cattiva condotta anche se, tuttora, sono convinto di aver avuto ragione. 

Poi tornai alla realtà, sul quel palco. Realizzai che proprio quel bambino curioso aveva vinto il Premio Nobel. Nel frattempo finii il discorso. Aspettai che succedesse qualcosa, ma cosa di preciso? Alzai la testa dal foglio e un grande applauso si sollevò dal pubblico. Una folata di entusiasmo e calore mi pervase e non riuscii a non arrossire.

C’ero riuscito! Fui sollevato, mi sentii fiero di me stesso. Scesi dal palco lentamente, poiché volevo gustarmi tutto il merito. 

Notai tra il pubblico il dott. Philipp von Lenard. Sorrisi. I nostri sguardi si incrociarono, ci notammo. Lui fece finta di niente ma io continuai a cercarlo con gli occhi. In precedenza mi aveva ostacolato in tutti i modi possibili, convincendo altri stimati fisici che non meritavo il Premio Nobel. Sosteneva che la mia teoria fosse solo “un’ipotesi filosofica”!

Fui discriminato anche perché ebreo, ovviamente: infatti la “scienza ebraica" non valeva come quella “ariana”. Però la soddisfazione fu tale che il rancore, l’odio per chi aveva cercato di fermarmi si trasformarono in un istante in carica positiva, che mi spinse a fare sempre meglio, a superare le difficoltà. Finalmente mi ero riscattato dopo anni di sofferenze e discriminazioni! Scendendo dai gradini, mi feci una domanda: adesso cosa accadrà? Come sarebbe andata avanti la mia vita? Sarei stato perseguitato ancora a lungo? 

Ripensai al mio Viaggio in America.  “Benvenuti a New York. Speriamo che il viaggio sia stato di vostro gradimento” mi chiesero. ”Sig. Einstein, ora che non ha più un passaporto, di che nazionalità si ritiene? A quale razza appartiene?". “Umana”, risposi con un filo di voce, stupito, con i lunghi capelli grigi spettinati al vento.

Fui entusiasta della piega che aveva preso la mia vita, non mi pentivo di nessuna delle mie scelte, perché messe insieme mi avevano portato fin qui: un professore universitario a Princeton!

Anche se la fama non mi interessa, sono costantemente fermato dai giornalisti e dalla gente che mi riconosce per strada! 

Ripensando a quando, prima del premio Nobel, svolgevo un umile mestiere presso l'ufficio brevetti di Berna, lavorando otto ore al giorno per sei giorni, inconsapevole che le mie teorie già pubblicate, ma non molto conosciute, mi avrebbero garantito questo futuro, mi sentii finalmente realizzato. 

 

Luca Zangrossi

Ethan Bricherasio

Alessandro Pini

einstein-pas.jpg
bottom of page