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IL SOGNO SOGNATO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi sveglio alle cinque di mattina, come al solito. Per me non è una novità. È da un po’ di tempo, ormai, che la mia giornata inizia sempre molto presto. 

Oggi, 28 agosto 1963, è un giorno importante.

Devo parlare davanti a tante persone, ma non mi aspetto una grande folla. In fondo, sono solo un pastore battista che ha iniziato a credere che si potesse cambiare in meglio la vita delle persone di colore. Intanto che mi preparo a questo evento importante mi tornano alla memoria alcuni episodi della mia infanzia e della mia giovinezza. All'età di sei anni ho iniziato la scuola elementare ma non insieme ai miei amici Jim e Peter perché ad Atlanta c’erano le scuole per i bianchi e la scuola per i neri. Dopo quel giorno non vennero più a giocare con me. “Sei negro” mi dissero “e i nostri genitori non vogliono che stiamo insieme”. Quella fine dell’anno scolastico il nostro maestro portò i suoi migliori cinque scolari ad una gita premio e c’ero anch’io. Sull’autobus del ritorno i posti erano tutti occupati e, quando salirono alcuni bianchi, l’autista, con fare sgarbato, disse a noi cinque ed al maestro di alzarci e cedere loro il posto perché eravamo “neri figli di cani” e non dovevamo rimanere seduti. Il maestro e tre miei compagni si alzarono subito mentre io ed un altro rimanemmo immobili; il maestro però ci pregò di obbedire perché “era la legge". Non mi sono mai sentito così umiliato e amareggiato. Ricordo con nostalgia quando mio padre tornava dal lavoro e ci faceva ascoltare le note degli spirituals, canti che ci ricordavano le origini del nostro popolo. La cantante era Bessie Smith e, quando avevo otto anni, ebbe un incidente d’auto. L'ambulanza girò quattro ospedali, mentre lei moriva dissanguata sulla barella perché quei posti curavano solo le persone bianche. Da quel giorno non sognai più di diventare “un eroe a cavallo che difendeva le persone con la spada”, ma solamente il liberatore dei miei fratelli neri.  

La voce di mia moglie mi richiama alla realtà, mi devo preparare e devo raggiungere il Lincoln Memorial, dove tutti gli altri mi aspettano. Durante il tragitto non posso fare a meno di pensare che la mia vocazione di pastore è arrivata molto presto, a soli ventidue anni.  Tengo il mio primo sermone a soli ventisei anni e le persone che mi vedono sul pulpito mi giudicano uno scolaretto impaurito. Ma, quando inizio a graffiare l’aria con le mie parole incisive, l’impressione di giovane sperduto sul pulpito della chiesa, lascia il posto alla figura di un nuovo Mosè, pronto a salire la montagna aiutato da Dio.

Un episodio che rimarrà per sempre nella mia memoria è datato 1 dicembre 1955, quando una giovane commessa di colore si rifiutò di cedere il suo posto sull’autobus ad un bianco e per questo venne arrestata. Riuscii a fermare la rivolta violenta, trasformandola in resistenza passiva: tutti i neri da quel giorno non presero più l’autobus per recarsi al lavoro. I bianchi sperarono nella pioggia, ma noi neri continuammo a camminare per le strade di Montgomery. Riuscimmo a boicottare il trasporto degli autobus della città e per la prima volta i bianchi ebbero paura di noi e si resero conto che anche noi contavamo qualcosa.

Il mio essere punto di riferimento per tutti i neri mi costò l’arresto ma il sindaco disse alla polizia di lasciarmi andare per non avere problemi più gravi. 

Le minacce e le telefonate notturne tuttavia cominciarono a spaventarmi davvero; fu in quel momento che, al culmine della disperazione, sentii la presenza di Dio come mai successo prima. Ero ancora io, ma Dio mi aveva dato la forza di andare avanti e lottare per la giustizia e la verità.

Altri episodi intimidatori, e molto gravi, hanno costellato la mia vita e coinvolto anche la mia famiglia, ma io sto combattendo una battaglia pacifica e giusta. È il giugno del 1956 quando la Corte Suprema indica come incostituzionale la segregazione razziale sugli autobus in Alabama. Presi il mio primo autobus “misto” poche settimane dopo, seduto accanto a quella Rosa Parks che anni prima non aveva voluto cedere il proprio posto ad un bianco.   

Il destino mi sorrise quando alla Casa Bianca venne eletto, nel 1961, J.F. Kennedy. Ero sicuro che la mia battaglia, ora, sarebbe stata lunga ma avrei avuto a Washington una persona che mi avrebbe sostenuto e condiviso le mie battaglie, perché era arrivato il momento del CAMBIAMENTO.

Adesso sono qui, davanti al Lincoln Memorial a Washington, perché bianchi e neri, insieme, vogliono far sentire la loro vicinanza al presidente in questa lunga battaglia per i diritti umani. Sono arrivati da tutto lo Stato, tutti vogliono partecipare alla “marcia per la libertà", un solo grande popolo attorno al gigantesco monumento di Abramo Lincoln, il grande emancipatore degli schiavi. Mi metto davanti ai microfoni, non ricordo bene quanti siano di preciso e anche se non è la prima volta che parlo davanti al pubblico, un'inquietudine strana mi assale. Vedo una folla immensa, che occupa due chilometri quadrati. Procedono lentamente, lungo le rive del fiume che attraversa Washington, cantando tutti insieme "We shall overcome”, lo spiritual che oggi rappresenta la nostra battaglia pacifica. Un corteo multicolore sta marciando verso il luogo in cui mi trovo.  Migliaia di uomini e donne, di etnie diverse. Alla fine ne conteranno duecentocinquantamila. In questa giornata di rivendicazione dei diritti civili e del riconoscimento della libertà per la gente di colore, si avvicendano sul palco, vicino a me, tante persone famose. Per questo evento straordinario avevo solo steso, con l’aiuto di un mio amico, una bozza di discorso nel quale ribadivo la mia volontà di aiutare le persone a capire l’infondatezza della discriminazione razziale e di come dovesse finire il tempo in cui bianchi e neri dovevano essere trattati in modo diverso. 

Poi, improvvisamente, vicino a me sento Mahalia Jackson, la mia cantante gospel preferita, che mi incita a parlare e mi urla: “Dai Martin! Parlaci del tuo sogno!”.

In quel momento ho provato una sensazione molto potente di appartenenza alla razza africana e, riordinando le parole, ho pensato a ciò che potevo esprimere davanti a quella folla. Ho abbandonato la bozza che tenevo davanti agli occhi e, da quel momento, mi sono rivolto a quelle persone come un pastore che parla ai suoi fedeli, quello che faccio di solito durante le mie omelie. Ho pronunciato la frase “Now is the time” per ben cinque volte, perché è proprio ora il tempo in cui le persone di colore devono farsi rispettare ed esigere di essere trattate allo stesso modo dei bianchi.

Sono sempre stato un uomo di Dio e volevo che le disuguaglianze e le ingiustizie cui era sottoposto il popolo nero venissero estirpate perché bianchi e neri vivono lo stesso destino, nella stessa nazione, sotto lo stesso cielo. È vero, ho un sogno, e questo sogno me lo porto nel cuore da quando ho capito che una nazione non può dirsi civilizzata e progressista se tutti i suoi abitanti non possono vivere fianco a fianco senza distinzione di genere, razza e religione. Troppe volte ho visto ragazzi esclusi dalle aule universitarie, privati del diritto ad un’istruzione, solo per il colore della loro pelle. Spesso durante il tragitto tra la chiesa e la mia casa, dove abitavo con mia moglie e i miei quattro bambini, le signore anziane mi fermavano e mi pregavano di fare qualcosa perché non volevano più sedere sugli autobus nei posti riservati alle persone di colore. Gli uomini che andavano al bar volevano entrare o uscire dall’ingresso principale e non da una porta sul retro, come persone invisibili. Questi erano i sogni che avevo per il mio popolo ed il modo pacifico in cui volevo il riconoscimento dei nostri diritti. La mia fonte d’ispirazione era Mahatma Gandhi, grande sostenitore dei diritti umani, che usava la “non violenza” per far ascoltare la sua voce e per cercare di sradicare le differenze sociali.

Ho messo TUTTI i miei SOGNI dentro a questo discorso sicuro che, un giorno, i miei figli e quelli di tutte le persone di colore, riusciranno a raccogliere i frutti di tanto impegno. La lotta, la resistenza e la sofferenza saranno così servite a rendere migliore la loro vita e quella di tutte le persone che hanno creduto in me e nelle mie azioni.


 

Cappelli Leonardo

Varughese Jose

Singh Gurwinder

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