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IO, L'ULTIMO RE

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Cari tifosi e calciatori, 

sono Edson Arantes do Nascimento, ma tutti mi conoscete come Pelè. Giunto al termine della mia vita intensa in molti penserete che voglia raccontarvi dei miei successi, delle mie coppe del mondo o dei numeri che ho realizzato sul rettangolo verde. Anche, certamente, ma soprattutto vorrei raccontarvi la mia storia, la mia vita, le mie difficoltà e paure che mi hanno cresciuto, facendomi diventare ciò che sono. 

Sono nato a Tres Coracoes nel 1940, vivevo nella più assoluta povertà, con mamma, papà e i miei tre fratelli. Nonostante le difficoltà economiche della mia famiglia, dopo scuola, andavo con i miei amici in modo molto spensierato a giocare a calcio per strada. Questo “sport” che oggi noi chiamiamo calcio, per noi ragazzi era un passatempo, dove molti brasiliani trovavano momenti di svago e felicità, e solo per alcuni sarebbe diventato un lavoro. Io ho continuato a praticarlo e, grazie al destino, a soli quindici anni sono arrivato al Santos.

Ho coltivato così questo sogno che con gli anni è diventata la mia professione. Vivevo in una favelas e, per aiutare la mia famiglia a procurare del cibo, lucidavo le scarpe e guadagnavo qualche spiccio per la cena. Nei pressi della scuola vi si trovava un piccolo bar dove, solitamente, si utilizzava una piccola radio per ascoltare le telecronache delle partite.  Frequentavo spesso questo luogo e mi divertivo ad ascoltare la voce del telecronista che urlava quando il Brasile segnava. Andavo sempre con i miei amici, sotto il sole cocente, e scambiavamo due chiacchiere con il proprietario sull’andamento della partita. Il giorno della convocazione è stato speciale. Stavo tornando a casa da un torneo giovanile di calcio e, improvvisamente, vidi un uomo elegante, con abbigliamento signorile. Era alto, magro e dall’aspetto sembrava una persona benestante. Stava camminando verso casa mia e, lentamente, l’ho seguito. Ad un certo punto, ha bussato alla porta di casa e, con calma, spiegò a mia madre le sue intenzioni. Disse: “Cerco un ragazzo di nome Edson Arantes Do Nascimento, è qui?”. A quella domanda ho subito corso verso di lui e mi presentai. Mi consegnò una lettera, l’aprì. Appena vidi lo stemma del Santos mi misi a piangere. Ero talmente felice che non capivo quello che stava succedendo. Lo riconobbi subito: era Waldemar De Brito, uno degli osservatori più famosi di tutto il Brasile. Ero orgoglioso di me stesso, non avrei mai immaginato che sarei potuto diventare un calciatore professionista.

Mio padre, soprannominato Dondinho, mi ha sempre raccontato le sue esperienze da calciatore professionista, parlandomi dei suoi successi e delle sue sconfitte, uno tra tutti il suo terribile infortunio, che ha messo fine alla sua carriera.

Arrivati a San Paolo, entrai nel campo di allenamento del Santos, che si trovava vicino allo stadio. Feci il mio primo allenamento. Il campo era bello e molto curato, c’erano molti atleti. Mi presentai alla squadra, accompagnato da De Brito e dall’allenatore. Ero molto emozionato e agitato, ma alla fine feci amicizia con tutti. Alcuni compagni mi prendevano in giro per la mia giovane età e per il fatto che loro avessero più esperienza di me e di conseguenza fossero più bravi. All’inizio non diedi tanto peso a queste piccole critiche ma, quando cominciarono ad essere sempre più frequenti, mi diedero la forza di diventare ancora più tecnico e forte. 

Cari ragazzi, credetemi, le sconfitte sono la maggior causa delle vittorie,  perché esse riescono a sollecitarti a rimediare agli errori commessi. Solo così si cresce come persona. Ho fatto molte amicizie in quella squadra, passando molte giornate con i miei compagni, momenti felici mischiati con momenti tristi, sensazioni uniche che solo se accompagnate da un vero gruppo possono essere indimenticabili. La presenza di giocatori di alti livelli e soprattutto di un’età superiore alla mia, mi hanno reso volenteroso di continuare a migliorare, seguendo la loro esperienza calcistica e psicologica. 

Tre mesi prima del mio diciassettesimo compleanno ero con mio padre in giardino: ascoltavamo, tramite una vecchia radiolina, le convocazioni della nazionale brasiliana per i mondiali di calcio in Svezia del 1958. Nome dopo nome, il mio cuore continuava ripetutamente a scaldarsi fino a quando sentii il mio. Un urlo di gioia accese gli animi della mia famiglia. In quel momento mi sono sentito adulto perché, per la prima volta, non mi sarebbe servito più l’aiuto dei miei genitori. Ero orgoglioso di me stesso perché avevo l’occasione di realizzare gli obiettivi che purtroppo mio padre non era riuscito a portare fino in fondo. Quello era solo l’inizio della mia carriera calcistica. Dopo tre mondiali vinti, con più di milleduecento gol, misi fine alla mia carriera trasferendomi negli Stati Uniti, più precisamente nel club di New York Cosmos.

Passeggiando per le strade di San Paolo, vedevo i ragazzi divertirsi con un pallone e delle piccole porte delineate da scarpe o zaini. Vederli, mi faceva ricordare la mia infanzia. Per questo motivo, decisi di offrire loro una possibilità per diventare qualcuno e seguire il proprio sogno, creando accademie e associazioni calcistiche gratuite nelle Favelas. Da piccolo, ho sempre desiderato che qualcuno mi accompagnasse nella realizzazione del mio sogno, ma nessuno lo ha mai fatto: per questo, mi sono offerto a libera disposizione dei bambini, in modo tale che questi ultimi avessero un punto di riferimento da seguire. Una delle caratteristiche più importanti che possiedo è la capacità di immedesimarsi in una situazione altrui, aiutando sempre chi è in difficoltà e chi ha bisogno di sostegno. L’umiltà è un valore che solo attraverso l’empatia e il rispetto si riesce ad acquisire. Grazie a quest’ultima lo Stato mi ha assegnato il ruolo di primo ministro dello sport brasiliano e ora sono anche una parola del dizionario portoghese: “Pelè = ineguagliabile, irraggiungibile”. 

Vi sto scrivendo dall’ospedale “Albert Einstein" di San Paolo, le mie condizioni non sono delle migliori, ma lotterò fino alla fine in questa partita contro la mia malattia.

 

Dincao Mattia

Lanfranchi Isacco

Singh Arashdeep

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