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PICO DELLA MIRANDOLA

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Fiesole, 16 novembre 1494

 

È tutto finito.

Le mie idee mi conducono alla deriva.

Solo, additato come eccentrico blasfemo dalla gerarchia ecclesiastica, considerato arrogante, presuntuoso e pazzo dalla cerchia di intellettuali a cui il potere ha legato lingua e penna.

In questo mondo non c’è posto per me.

E in questa città, orfana di Lorenzo, il fuoco del sapere, del coraggio di scoprire, di osare, sembra spento.

Ho vissuto ogni goccia di questi miei pochi anni, e sento che la fine del tempo che mi rimane su questa Terra è prossima.

Ho cercato la verità nei libri, la voce di un amico nelle carte degli antichi, la bellezza in ogni istante Ho trascorso le ore e i giorni divorando la vita con una fame pagata a caro prezzo.. Le accuse delle peggiori perversioni, la censura, il carcere. È ormai inconfutabile che la mia interpretazione dell’etica si differenzi da quella dei filosofi costretti a scrivere soltanto dei convenzionalismi per continuare a sopravvivere.

Di fatto, mentre il mondo attorno a me s’inchina asservito al potere assoluto della Chiesa, penso a me stesso come l’unico in grado di poter affermare che ogni uomo abbia la facoltà di decidere gli scopi del proprio agire e pensare, comprendendo la ragione, amando la bellezza e ammirando la grandiosità del mondo. Distanti sono gli astri dalla nostra natura. Nulla può la volta delle stelle sulle azioni e sui destini dell’uomo. Ne sono convinto. Ma non è, questo, il tempo per veder compiuti i miei sforzi. Per questo vivo divorato dalla solitudine, imprigionato in un mondo sempre più incapace di discernere il vero dal falso, trovando rifugio solo nelle mie parole, aggrappandomi al sogno di vedere riunite filosofie e religioni diverse in un pensiero di dialogo, rispetto, reciproco desiderio di conoscersi più a fondo.

Osservo lo spicchio di cielo dalla finestra del mio studiolo, quasi stregato dalla sua enigmatica bellezza: Il disco rosso del sole si è appena posato sul colle in un'esplosione di tonalità che incendia l’orizzonte. Spalanco i vetri, incurante dell’aria di novembre che si è fatta pungente. È un momento perfetto, da cogliere in silenzio, cullati solo dal vociare indistinto dei passanti. Un lungo sospiro accompagna questi miei pensieri... e tutto scompare, lasciandone soltanto il riflesso stampato nei miei occhi socchiusi. È vitale per me scrivere chi sono stato e cosa ho affermato a costo della vita, prima che questa venga strappata dalle mie mani, prima che possa riaprire gli occhi.

 

 

 

 

Che fosse un personaggio fuori dall'ordinario non ci sono dubbi: il 24 febbraio 1463, quando Giovanni Pico, conte di Mirandola e principe di Concordia, venne al mondo nel suo castello nel modenese "fu vista una fiamma in forma di cerchio stare sopra il giaciglio della partoriente e tosto svanire. Il segno è evidente: quel bambino è destinato a illuminare il mondo, ma solo per un breve periodo di tempo. Per l'esattezza 31 anni, in cui gli capita di tutto.

Condannato come eretico, ma anche definito il più grande pensatore della cristianità dopo sant'Agostino; accusato di omosessualità, ma per amore si improvvisa rapitore di mogli altrui; finisce in carcere, ma grazie al suo prestigio si guadagna un posto in una sacra rappresentazione dipinta da Botticelli.

Ricco, generoso, bello, elegante, coltissimo ed estremamente intelligente, capace di recitare a memoria tutta la Divina commedia o qualunque poema abbia ascoltato una sola volta. Rinuncia ai beni di famiglia, riservandosi una rendita sufficiente a un'agiata vita da intellettuale e spende la sua fortuna in rari testi antichi o per soggiornare nei maggiori centri di studio.

Fin dai 14 anni si sposta di università in università, da Bologna a Ferrara, da Padova a Pavia, fino a Parigi per dedicarsi al diritto canonico, agli studi umanistici, ai corsi di retorica e di logica matematica.

Nel frattempo si procura anche un'infarinatura di greco ed ebraico, lingue che, insieme all'arabo e al caldaico, gli torneranno utili per il futuro, quando si cimenta con la cabala, l'antica "sapienza occulta" degli ebrei.

Arriva a Firenze, all'epoca attivissimo centro culturale, a 21 anni: qui entra a far parte della cerchia dell'Accademia platonica, una specie di "circolo" per gli amici letterati di Lorenzo de' Medici, mecenate e Signore del capoluogo toscano.

Eppure la sua fama e l'incondizionata ammirazione del Magnifico non bastano a far accettare le sue idee. Pico cerca di riconciliare l'antica filosofia aristotelica, quella platonica e i vari elementi della cultura orientale in una filosofia universale, che riunisca idealmente tutte le religioni.

Papa Innocenzo VIII condanna in blocco le sue tesi e ne vieta la lettura, la copiatura e la stampa, pena la scomunica. Pico scappa e si rifugia in Francia, dove viene arrestato e liberato meno di un mese dopo per intercessione di Lorenzo il Magnifico. Dall'estate del 1488 si stabilisce nei pressi di Firenze, sui colli fiesolani. Affetto dalla scabbia e profondamente turbato per la condanna di eresia si converte a uno stile di vita quasi monacale.

comportamento ossessivamente virtuoso: "Egli aveva allontanato talmente il piede da ogni mollezza e tentazione della carne da sembrare che, al di là dei sensi e dell'ardore giovanile, vivesse una vita da angelo".

Ma Pico non è sempre stato uno stinco di santo: solo un paio di anni prima, il 10 maggio 1486, ad Arezzo aveva tentato di rapire la bellissima Margherita, moglie di un lontano parente di Lorenzo, Giuliano Mariotto de' Medici. L'amata, stregata dagli occhi azzurri, dai capelli biondi e dalle spalle larghe e muscolose di quel ragazzone alto quasi due metri, scappa con lui verso Siena fingendosi vittima di un rapimento. Ma i due sono raggiunti dal marito tradito e dai suoi soldati, che con le armi si riprendono la fuggiasca. Alcuni storici credono che Pico sia stato una delle prime vittime della grande epidemia di sifilide, il "mal francese". Ma questa tragica fine a sfondo sessuale, comune a quella di tanti altri intellettuali della cerchia fiorentina, sarebbe stata inventata per nascondere invece una vicenda molto più torbida.

Gli studiosi più attenti parlano di una morte per avvelenamento da arsenico: ne rimangono infatti abbondanti tracce nelle sue ossa. Perché? Tra le varie ipotesi, la più probabile vuole che l'unico amore proibito che costò la vita a Pico sia stato quello per la Scienza.

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Edoardo Fazzi

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