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CARISMA PARTENOPEO

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Lo sguardo è una fucilata. Dritto, franco, con il guizzo di una vivacità che anticipa le parole. Un fiume di parole che il poco tempo a disposizione, in una pausa dal set, in un bar con vista giardino, limita nella portata ma non nell’intensità. La incontriamo via meet, e la sua narrazione ci conquista. Antonella Prisco racconta la sua Mariella Altieri, ma soprattutto racconta sé stessa. Il dietro le quinte di una donna, prima ancora che di un’attrice. Un’intervista che rimarrà nella bacheca di Increscendo, a futura memoria.

CATERINA

In che modo si è avvicinata al teatro? Come il teatro ha cambiato la sua persona?

È avvenuto in un momento difficile della mia vita, a seguito di una perdita dolorosa. In quegli anni, il teatro – intrapreso quasi casualmente – è diventato via via il mio rifugio, il mio modo per non pensare alle sofferenze che mi attendevano, una volta smessi i panni del personaggio e ritornata alla situazione quotidiana. Posso quindi dire che mi ha salvata.

E come il teatro ha cambiato la sua persona, nel corso del tempo?

Mi ha semplicemente insegnato a mettermi in ascolto della mia parte più profonda, quella che avevo sempre tenuta in ombra, e mi ha portata a mettermi continuamente nei panni di altri, a capirne emozioni e reazioni in una continua, instancabile messa in discussione di ogni certezza. Che ruolo ha avuto la sua famiglia nella sua realizzazione, sia personale che teatrale?

I miei genitori inizialmente avevano accolto con gioia il mio interesse per il teatro, ne avevano visto la positività nell’aiutarmi a reagire. Ma quando ho annunciato loro che ne avrei voluto fare una professione la loro reazione non è stata esattamente la stessa. Temevano un mondo che non conoscevano e che, forse, vedevano come effimero, pericoloso, non sicuro. Mi chiesero di continuare a studiare e di iscrivermi all’Università. Io lo feci, con profitto. Ma dentro di me non vi erano più dubbi. La recitazione era lì, ad aspettarmi.

RACHELE

Quali sono gli attori o registi che ammira di più e che l’hanno ispirata?

Sicuramente, tra i tanti con cui ho avuto il piacere di lavorare, Renato Carpentieri, un mentore e una persona, prima ancora che un artista. Con lui, Paolo Ferrari, Lucio Allocca. In modo diverso, ognuno a modo suo, tutti e tre mi hanno insegnato che il teatro è una disciplina ferrea, un lavoro instancabile, quotidiano, fatto di esercizi alla sbarra e di allenamenti, di prove continue. E, da ultimo, tutto il meraviglioso set RAI, una famiglia di amici e di colleghi con cui sto lavorando da tanti anni ad Un posto al sole. Una palestra di rigore e di fantasia straordinaria in cui la presenza di registi diversi richiede una duttilità e una flessibilità assolute.

CATERINA

In “Un posto al sole”, Lei interpreta Mariella Altieri. Come l’ha influenzata, il suo personaggio? Com’è cambiato, negli anni, il rapporto tra voi e quali tratti di esso le appartengono maggiormente?

Convivo con Mariella da un sacco di tempo. Ormai lei è una parte di me, inizialmente lontana per atteggiamento e rapporto con la vita, e probabilmente io sono una parte di lei. Posso dire che questa donna mi ha “riappacificata con il mio rosa”, con la parte più femminile che è in me e che per un lungo periodo ho faticato ad accettare. Con la sua dolcezza, mi ha insegnato l’accoglienza, l’attesa. Inizialmente ricordo di aver faticato ad “addomesticarla”. L’avvertivo fredda, frustrata. Ma poi, frequentandola ogni giorno, ho capito sempre più che quel che cercava era il grande amore, la persona con cui condividere la vita.

GINEVRA

Ci racconta la sua prima volta sul set? Quali emozioni prevalevano? La paura o l’orgoglio di aver realizzato un sogno?

Un terrore assoluto, totale! (Ride, con una risata irresistibile). Alla fine, ricordo il mio bisogno di ringraziare tutti per la fiducia, per la considerazione che mi ero sentita regalare mentre ero in scena. L’idea che qualcuno potesse apprezzare il mio talento, le mie qualità, mi sembrava qualcosa di impossibile! Poi, col tempo, questa forte emotività che ancora mi caratterizza è stata limata; ho lavorato a lungo per domarla e farne una risorsa, ma che fatica! Se sfruttate senza lasciarsene sommergere, le emozioni possono diventare un repertorio a cui attingere per dare la giusta tinta ai personaggi: il dolore, la nostalgia, la gioia. Attualmente, il mio personaggio è in una fase molto triste. Piange in continuazione, e mi capita di partire per andare sul set già in quella condizione d’animo. Per renderlo, attingo da situazioni vissute, a qualcosa di simile provato. Poi, però, la sera, ho bisogno di uscire da quel dialogo così forte, e tornare Antonella. Le è mai capitato di interpretare personaggi molto lontani dalla sua personalità? In tal caso, come si prepara a costruirli? Certo. Ad esempio, di recente, mi è capitato di portare in scena, a teatro, una donna vittima di maltrattamenti e, alla fine, del proprio femminicidio. Una donna debole, remissiva, totalmente succube di un uomo violento. E in questo caso, come dicevo prima, ho cercato di fare leva su qualcosa che, nella mia memoria emotiva, mi potesse ricordare qualcosa di quella condizione, anche se, fortunatamente, nella mia vita non ho mai incontrato esattamente niente di tutto ciò che mi sono trovata a vivere in quel copione.

ARIANNA

Quello dell’attore è un lavoro “a tempo” o muore con la persona? Intendo dire: si immagina, in un futuro, non più attrice ma semplice pensionata?

Gran bella domanda, molto vicina a quella che mi pose Gigi Marzullo in un’intervista andata in onda sulla RAI tempo fa. Credo di essere un’attrice che, fortunatamente, può permettersi di fare il mestiere che più ama. E per il mestiere che è, non riesco a pensare di poter smettere con l’età della pensione. Nel mio lavoro c’è la creatività, la ricerca, l’originalità. Non è una professione impiegatizia, ma un modo di esprimersi, di essere. Certo, smetterei se un giorno mi accorgessi che mi sto spegnendo, che andare in scena è diventato un lavoro di routine, un peso. Ma non riesco proprio ad immaginarmelo, ora come ora. Noi, del teatro e, più in generale, dello spettacolo, vediamo la vetrina. Ci può raccontare qualcosa del “dietro le quinte”? Quali sono i rischi, le difficoltà?Il teatro ha in sé la necessità di un’obbedienza molto forte alle esigenze del regista. E spesso il regista è anche molto direttivo, poco morbido. Talvolta ti impone scelte che tu fatichi a comprendere, ma che devi accettare. E poi, le prove: infinite, senza orari, senza fine. Da ultimo, lo spettacolo, in cui ogni volta devi riprodurre quella tensione, quell’intensità. Nella televisione, più delle prove sono le scene da rifare, anche decine di volte, prima di trovare quella giusta, ad essere faticose. E poi, quello di Un posto al sole è un lavoro che ci impegna, dal 1996, tutto l’anno, con una pausa di sole due settimane ad agosto. Quindi, la grande difficoltà è riuscire a mantenere fresco e vivo il personaggio, e la storia.

GINEVRA

Quali qualità e caratteristiche deve possedere una persona per essere una buona attrice?

Altro domandone! (E ride). A me piace una recitazione istintiva, “di pancia”. Non mi piacciono le attrici e gli attori troppo freddi, razionali. Mi piace che trasmettano emozione, che vadano dritto al cuore. Ma certamente, se un attore non impara a trovare la giusta collocazione tra vicinanza e lontananza, tra istinto e cervello, rischia, così come di annoiare, di rimanere sommerso dal suo personaggio. Quindi, per concludere, un buon attore deve essere capace di combinare lucidità ad autenticità, verità e finzione.

ALESSANDRO

In questi anni si è parlato molto di #metoo, ovvero delle denunce di diverse attrici per molestie subite da produttori e registi. Qual è il ruolo delle donne nel teatro? Lo ritiene un ambiente maschilista?

Credo che questo rischio, di trovare uomini che approfittano di una condizione di superiorità o di privilegio, sia presente ovunque. Situazioni spiacevoli possono accadere sul set così come all’Università. Non credo che ci sia un luogo, o un ambiente, riparato da una cultura ancora per molti aspetti maschilista. C’è molto da fare, in tal senso. Mi sento di dire che in Un posto al sole non solo non ho mai vissuto niente del genere, ma non ho mai assistito a nulla di simile. Il rispetto tra di noi viene prima di tutto.

ARIANNA

Ha mai incontrato momenti di sconforto pensando di mollare tutto? Se si cosa l'ha aiutata a rialzarsi?

Certo. Non è stato facile come qualcuno potrebbe immaginare. Inizialmente fai tanti provini, cerchi di inserirti in tante situazioni, provi e riprovi. E i no, le porte chiuse, sono tante. Ad un certo punto, l’Università mi era sembrata davvero la scelta giusta, il ripiego da accettare. Ma poi, fortunatamente, qualcosa di è mosso, ed eccomi qua.

ALESSANDRO

Pensa che l'intelligenza artificiale possa eliminare, in futuro, la creatività umana, e quindi anche l’unicità del teatro e dello spettacolo?

Molti miei colleghi sono terrorizzati da questa faccenda. Da ottimista, anche in quanto napoletana, io continuo a credere che niente possa sostituire l’imprevedibilità, l’originalità della persona umana. E quindi, al momento, non temo niente di particolare in questo senso. RACHELE

Per riallacciarmi alla domanda di Alessandro, quali elementi, a suo avviso, rendono un’interpretazione autentica e convincente?

L’imprevedibilità, ciò che non ti aspetti, ciò che ti cattura. La capacità di sorprenderti e di dirti cose che ti portano a riflettere, a ripensare quello che credevi giusto, o sbagliato. L’attore che ti cattura è ill Maradona del palcoscenico. A volte sgraziato da vedere: tarchiato, piuttosto appesantito, poco elegante fuori dal campo. Ma con la palla tra i piedi, capace di compiere il miracolo e, da metà campo, scartare tutti e andare a fare goal. Ecco, questo per me è un attore.

Grazie infinite!

Caterina Canevari

Ginevra Ravagna

Alessandro Micheloni

Rachele Baboni

Arianna Affini

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