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LA DEMOLIZIONE

Ungaretti racconta la tragedia della prima guerra mondiale, evidenziando ogni istante, catturando tutto il dolore all'interno delle parole. Le parole gli permettono di sopravvivere. Poiché solo le parole possono permettere ad un uomo di esistere. Esse richiamano rumori appartenenti al luogo di battaglia, esempio evidente le “r”, le quali richiamano il rumore delle mitragliatrici. Lui, come tanti altri, si è offerto volontario, trascinato dall'entusiasmo, il quale viene demolito dal tempo, e dal dolore. Abbiamo letto uno stralcio di testo dal libro “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, e l'agonia di Ungaretti, nella poesia “Veglia”, è identica a quella di Paul: entrambi sono costretti ad assistere alla morte di un uomo, e a condividere il dolore che esso prova. Assistono alla carnale voglia di vivere, agli sguardi antecedenti alla morte: più vivi dei loro. La morte pietrifica la nostra ultima espressione, il nostro ultimo gesto, ed Ungaretti, è costretto ad assistere, e descrive con cura l'ultimo atto compiuto. Paul uccide un nemico, ed il senso di colpa lo annienta, ed è per questo che Paul tenta disperatamente di curare il "camarade" ferito. Ungaretti invece è un compagno, e deve “Vegliare” sul suo corrispondente. Deve assisterlo negli ultimi attimi. Attimi feroci, che ricordano la Medusa di Caravaggio. Il loro volto, dimostra un’aggressività e un'energia non umana, ma animale. Ungaretti, Remarque ed Caravaggio, cristallizzano questa espressione con la loro arte. Ad oggi, a raccontarcela sarebbe la foto di un fotoreporter, che però perde di fantasia, poiché le foto sono oggettive, e perdono il tratto di poeticità dato da scrittori o artisti. L'unica cosa alterabile è il punto di vista, che certamente ha un valore, ma non può raggiungere la singolarità dei quadri o delle poesie. Devo ammettere che preferisco la poesia ai quadri o affreschi, nonostante siano entrambi singolari, poiché la poesia mi permette di immaginare, e di costruire con la fantasia luoghi e personaggi, per questo preferisco i libri senza immagini, ed evito di vedere i volti dei protagonisti di un libro, non prima di averlo finito. Questo mi permette di essere libero. Ungaretti fa proprio questo, con le parole mi invita ad immaginare anche l'inesistente. Io visualizzo il paese straziato di cui parla nella poesia “San Martino del Carso”, poiché il suo cuore, sede dell'anima, ha un volto, o meglio, è riconducibile ad un luogo: io lo immagino come il territorio desolato ritratto nell'ultima ripresa del film “Joyeux Noel”, conclusa la battaglia. Il territorio racconta lo svolgersi dei fatti, ed è testimone di tutto quello che accade. Ungaretti racconta di case distrutte, di compagni persi. Non resta nulla. Dell’uomo e della natura non restano che le macerie. Per questo immagino il suo cuore come il territorio desolato ritratto nell'ultima ripresa del film “Joyeux Noel”. Eppure, Ungaretti in questa desolazione trova spazio per i suoi compagni, crea per loro un luogo nel quale riposare. Lui ha visto la morte nel volto dei suoi corrispondenti, e ha imparato ad amare la vita. Questo luogo, sede di amore e strazio, è il suo cuore. In questo luogo desolato, risiedono le macerie dell'anima di Ungaretti. “Se questo è un uomo” P.L

Sohaib Nasr Allah

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