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LASCIARLI ANDARE

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Ancora una volta si parla di confini. E di umani con-fini (giusto per citare lo scorso numero). E dev’essere quantomeno cristallino il fatto che questo articolo non deve e non vuole essere un giudizio impertinente nei riguardi dei genitori (e, in generale, degli adulti) quasi come fosse una serie di etichette stampate sulla fronte di ognuno di essi. Anzi. Ci limitiamo a leggere la realtà con gli occhi dei ragazzi di tredici e quattordici anni che siamo. In questo caso, ciò che ha dato spunto a questa riflessione è un’intervista a Umberto Galimberti, filosofo, psicoanalista e giornalista, riguardante la relazione genitore-figlio ed il ruolo che la scuola gioca rispetto ad essa.

Necessariamente, l'insegnamento da parte di docenti (e, in generale, degli adulti) dipende dalla  visione, dal concetto di insegnamento che ognuno ha, e quindi anche dalle modalità che ognuno di essi applica nei confronti dell'educazione ed istruzione indirizzate ai ragazzi; è ovvio, poi, che sarebbe ottimale l'equilibrio tra le due parti, a casa come a scuola. Ed è anche rispetto all'inserimento di test sull'empatia che vi sarebbe una piccola puntualizzazione da fare: da questa frase si evince infatti quanto la maggior parte degli adulti che sceglie di diventare docente manchi della conoscenza dei principi fondamentali e dei valori dell'insegnamento come di tutti i lavori che coinvolgono un contatto con l'altro; il primo tra tutti, l'empatia, la quale non è altro che la principale "componente" della coscienza, dell'umanità dell'essere umano. È evidente quanti possano essere gli adulti che scelgono di esercitare professioni che non li rispecchiano, e che spesso, anzi, li portano a maturare una frustrazione che poi tendono a scaricare su chiunque stia intorno a loro. Per primi, i ragazzi. Tanti genitori, tanti adulti, tendono a sovrastare spesso i figli, quasi sostituendovisi, sovrapponendo i propri desideri, le proprie aspirazioni alle loro. Capiamo che molte delle volte queste azioni non vogliano essere volontariamente ostili da parte dei genitori. In fondo, cercano di fare, di vedere, il meglio per i loro ragazzi. Ed il meglio sono il massimo dei voti, i compiti ben fatti. È questo, secondo Galimberti, ciò su cui punta maggiormente l'istruzione italiana. È la noncuranza che distrugge. Da una parte e dall'altra. Il genitore, il docente, l'adulto  non si accorge di quanto la sua frustrazione possa affliggere, soffocare un ragazzo solo perché non vuole e non ha la pazienza di limitarsi ad ascoltarlo senza giudicare. Don Primo Mazzolari, nel “Diario di una primavera”, scrive: “...Quelle poche mamme che, avendo la mania di farli vedere educati e puliti i loro cari uccellini (i figli), l’imprigionano anzi tempo, come se di gabbie, una volta cresciuti, non ce ne fossero abbastanza”. È “semplicemente” questo. La paura di vederseli sfuggire di mano, di vederli volar via liberi. Invece, quelli che, sempre secondo Galimberti, sono amici dei figli, mancano di autorità e non sono in grado di imporre ai figli regole e disciplina. Si pensi solo a tutti quegli “orfani” di cui parla Michela Marzano. “Ed i loro genitori?”. La domanda non può che sorgere spontanea. Ebbene, spesso tali circostanze si rivelano un circolo vizioso di assenze che difficilmente appare arrestabile o, per lo meno, limitabile da parte di chi vi è all’interno, così come di chi si riguarda bene dall’entrarvi, con la paura di agire. 

Rachele Baboni

Caterina Canevari

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