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VINCENZO RABITO

Nome: Vincenzo 

Cognome: Rabito

Provenienza: Chiaramonte Gulfi, Ragusa

Ruolo al fronte: bracciante

Luogo da cui scrive: Monte Fior, Vicenza

Data: Febbraio 1918

Racconto:

Vincenzo Rabito, nato il trentuno marzo 1899, a Chiaramonte Gulfi, in provincia di Ragusa, viene chiamato, all’età di diciotto anni, per combattere. Lui vivrà poco della guerra ma allo stesso modo riuscirà a percepire le stesse sensazioni che i suoi compagni probabilmente hanno già patito. Monitorando il percorso delle sue lettere, notiamo che il suo battaglione rimane sempre stanziato nelle zone di Asiago, sul Monte Fior. E' un bracciante semianalfabeta che comunque è affascinato dal mondo intellettuale e sente il bisogno di scrivere. Nella lettera “Piedi congelati” Vincenzo ci racconta le condizioni in cui viveva, il freddo che pativa. Nella lettera scrive che tutti i soldati hanno in dotazione un insieme di farmaci fatti apposta per evitare che le dita dei piedi congelassero. Tutte le sere devono mettere questa crema, e per vedere che tutti avessero fatto questo il comandante passa a controllare. Alcuni, racconta, fanno i furbi: facendosi congelare i piedi apposta, potevano evitare di provare la paura della guerra, evitare il rischio. Una notte però sente che il suo piede comincia a congelarsi e si rivolge subito al comandante che lo manda immediatamente in infermeria. Senza che se ne accorga, lo mettono a testa in su su un letto e con qualche strumento gli tagliano una parte dell’alluce del piede destro. Dice di aver urlato talmente forte da aver svegliato tutti i soldati. La testimonianza di questo racconto ci dice quanto, in questo periodo della guerra, soldati di qualsiasi età servissero e in che condizioni erano ridotti a vivere. Con abiti che riscaldavano poco, scarpe di cartone in mezzo alla neve. Essendo un ragazzo del novantanove è stato costretto anche ad adattarsi il più infretta possibile rispetto agli altri, il luogo, le condizioni igieniche, l’alimentazione. La parte che mi ha colpito di più della vita in trincea di Vincenzo è stata il suo primo giorno al fronte. In questa sua pagina di diario racconta di quello che vede e delle prime persone che conosce. Essendo siciliano di nascita, è anche svantaggiato da questo punto di vista, potendo solo parlare una lingua vicina al dialetto delle sue parti, e non avendo un percorso di studi minimo per poter maneggiare la lingua in maniera semplice e fluida. Appena arrivato, il sergente lo equipaggia con il materiale sufficiente. Sistemato nel suo spazio può cominciare la vera vita da soldato. Appena entrato in sorveglianza incontra un soldato calabrese, che parla una lingua molto simile alla sua e per questo riesce a capire molto più semplicemente. Grazie anche a questa conoscenza trova un punto di riferimento a cui appoggiarsi, un pezzo di casa, un qualcosa che gli faccia riassaggiare le sue origini. I due parlano delle loro famiglie e della loro vita prima dello scoppio della guerra. Sono le cinque del mattino e Vincenzo comincia a capire come stare all’interno di questo luogo. Nel frattempo, l’amico che Rabito si è creato all’interno della trincea gli spiega la loro posizione e quella degli Austriaci. In qualche modo lo rassicura facendogli capire di avere un vantaggio di altezza rispetto a loro ma di rimanere sempre allerta. Gli mostra anche la città di Asiago, ancora non occupata né dagli Italiani né dagli Austriaci. Quando comincia a sorgere il sole Vincenzo interrompe la sua scrittura e riprende la sua vita. Il suo periodo in trincea cresce notevolmente e arriva il giorno di Natale. E proprio in questa notte un soldato Austriaco si presenta davanti a loro rendendosi prigioniero. E proprio Vincenzo, quella notte, deve tenerlo in consegna, deve sorvegliarlo. Arrivata la domenica di Natale Rabito porta con sé alla messa anche l’Austriaco. Il parroco comicia a celebrare la Messa, come tanti altri giorni. Come tutte le volte, finito il momento di preghiera, il parroco, attraverso una frase legata alla spiritualità, incoraggia i ragazzi soldati a scacciare il prepotente nemico. Detto questo l’Austriaco scoppia a ridere. Ride così tanto che tutti pensano che sia matto. Per difendersi ed evitare che gli italiani gli avrebbero fatto qualcosa, l’Austrico dice che anche il loro parroco diceva queste cose a loro, facendo scoppiare a ridere l’intera folla di soldati. Al che il parroco obbliga Vincenzo ad abbandonare la messa portando via l’Austriaco. Conclude la pagina di diario dicendo che in fondo tutti sanno che dice la verità. Questa vicenda ci esplicita quanto, i soldati, fossero spinti da ogni persona a loro vicno di combattere per la loro patria, mettendo in gioco anche la religione pur di avere più uomini al fronte. Dio ci permette di uccidere? Rende legittima questa cosa? In quell’epoca, tutti credevano che fosse così, che in futuro Dio avrebbe perdonato loro. E ovviamente, erano spinti ancora di più nel combattere per la propria patria. Vincenzo è un ragazzo obiettivo, che dice quello che pensa senza farsi  problemi. Nel corso delle sue storie raccontate abbiamo potuto vederlo in varie situazioni, con compagni diversi, ad affrontare problemi di vario genere, lontano da casa, ma credo sia sempre rimasto in qualche modo attaccato alle proprie origini, alle proprie tradizioni, grazie a questa sua sicurezza interiore che lo faceva rimanere fisso sull’obiettivo: vivere. 

Giacomo Tarana
 

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