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LA VIOLENZA AL POTERE

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8/04/1922

Qui a Bastia il tempo è bello, e sembra che il mio brutto presentimento stia diventando realtà. Stanno arrivando voci di una squadraccia che ha ucciso a bastonate degli scioperanti. Nel mio piccolo paesino la paura è tanta, soprattutto per quei ragazzi che stanno organizzando uno sciopero davanti alla loro fabbrica, ma a loro il coraggio non gli manca. Io invece sono debole, per questo scrivo, da quando sono tornato dalla guerra non parlo più. Ho visto e sentito cose inimmaginabili, l’odore della morte che si faceva sempre più forte quando arrivava l’ordine di avanzare. Tornato a casa pensavo di trovare quello che avevo lasciato, invece no. Mia moglie era morta. Mi dissero che aveva preso una malattia di cui non sapevano l’origine e non sono riusciti a curarla in tempo. Così il dolore superò la rabbia delle terre che non mi erano state date al rientro dalla guerra. Però non ci ho dato molto peso, visto che la mia situazione economica è abbastanza agiata. Sono un piccolo proprietario terriero, possiedo un po' di terre che faccio lavorare a qualche famiglia contadina. Qualche volta le squadracce della mia zona mi hanno chiesto se volevo essere protetto, ma io ho sempre risposto di no, perché mi sentirei sporco a farmi rappresentare da quella violenza senza senso. 

 

19/04/1922

Oggi è successa una cosa inimmaginabile. Verso mezzogiorno ho sentito arrivare una macchina che si è fermata davanti al mio portone. Ho sentito le portiere aprirsi e chiudersi, e un secondo dopo qualcuno ha bussato. A pranzo ospitavo una famiglia di contadini che lavorano e vivono in una delle mie cascine. Sono degli ottimi lavoratori, mi posso fidare di loro. Sono una famiglia abbastanza numerosa. Sono sceso ad aprire la porta; davanti mi sono trovato due ragazzi armati. “ Dicci dove si trova il rivoltoso”. Io non capivo, ero scioccato. Mi hanno puntato il fucile alla testa e mi hanno detto: “Sappiamo che tu stai aiutando uno scioperante, non mentirci!”, mi sentivo paralizzato, mi sono tornati in mente le atrocità che avevo visto in guerra, mentre sono stato prigioniero. Sento una voce: “Sono io, lasciatelo andare”. È il figlio del contadino. Sono incredulo, sapevo che lui non lavorava nelle mie terre, ma non sapevo fosse un manifestante. Lo hanno preso e lo hanno portato fuori, in mezzo alla strada: “Dicci i nomi degli altri scioperanti”. Lui si è opposto, e gli hanno sparato ad una gamba. La gente in strada e dalle finestre guardava tutto, con il terrore negli occhi. Gli hanno puntato il fucile alla testa e lo hanno ucciso. La famiglia in lacrime è accorsa a piangere il morto, mentre tutti in strada urlavano e piangevano, la gente in casa ha chiuso le finestre, io invece con le lacrime agli occhi mi sono voltato e ho chiuso la porta come un vigliacco.

 

20/04/1922

Sono le sette di mattina, e sono ancora traumatizzato da quello che è successo ieri. Qualcuno ha bussato alla mia porta. Fausto, il contadino padre del ragazzo ucciso ieri. Lo faccio entrare e lo faccio accomodare in cucina. Lì mi spiega che suo figlio ed altri lavoratori hanno deciso di scioperare e manifestare davanti alla fabbrica, per le ore di lavoro insostenibile e la poca paga, con cui possono a malapena comprarsi un pezzo di pane. Io mi arrabbio molto, perché Fausto non mi aveva mai detto niente su quello che faceva suo figlio, perché poteva mettere in pericolo anche me. Mi sento tradito e offeso, visto che quella di Fausto era l’unica famiglia che non aveva pregiudizi su di me. Quelli del paese mi prendono in giro chiamandomi “muto di guerra”. 

 

21/04/1922

È una mattina come le altre, dopo essermi preparato sono andato a prendere il pane alla forneria. Lì c’era un gruppo di donne che discutevano sullo sciopero programmato dai loro mariti. Tornato a casa ho messo giù il pane e sono andato a controllare l’operato nelle mie terre. Tornato a casa ho visto una squadraccia che stava picchiando e molestando una donna, e gli intimarono di dirle: “Dicci dove sono andati”. Era una delle signore che avevo visto alla forneria. Allora mi sono messo a correre urlando per strada: “Stanno arrivando! Tornate in casa!”. Avevo perso la vergogna della parola per aiutare gli altri. Arrivato a casa sono salito sulla macchina e…mi sono bloccato. Non ne ho avuto il coraggio. Sono sceso dalla macchina e ho visto passare la squadraccia che l’aveva picchiata. A terra, una chiazza di sangue; il suo corpo, di fianco, morto. Senza dire niente mi sono voltato e me ne sono andato, consapevole del fatto che non avrei potuto intervenire. Nel frattempo, un uomo tornava a casa dalla fabbrica. Mi sono buttato in strada per chiedergli cosa fosse successo: era ricoperto di sangue, e i suoi occhi non avevano neanche la forza di piangere. “Li hanno presi tutti”. Tornando a casa pensavo che la guerra è finita, ma che nel cuore delle persone è appena iniziata, e se nessuno fermerà questa violenza, sarà l’inizio della fine.

 

30/10/1922

Da Roma è arrivata la notizia. La violenza ha preso il potere.

 

Angelo Anghinoni

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