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GIOVANNI BATTISTA GARATTINI

Giovanni Battista Garattini 

  • Nato: 1883 Martano (LE)

  • Morte: 1990 ( luogo non specificato)

  • Ruolo al fronte: caporale della compagnia dei mitraglieri aggregata al 49 fanteria (brigata Parma)

  • Luoghi che racconta: Nei primi suoi 3 scritti scrive da Valeriano (PM), Udine, e infine Marchtrenk (Austria)

  • Data in cui scrive: tutte le sue lettere sono state scritte dopo la sua permanenza in guerra, dopo che il Ministero della Guerra gli ha chiesto di raccontare le sue memorie

Senza scampo

[...] Ci sentivamo già persi ! Vi fu un momento in cui tornò in noi la speranza; e fu precisamente quando qualche pezzo da campagna nostro tirò delle granate sull’avversario. Ma poi tacque e ci sentimmo nuovamente soli. Il terribile nostro timore si avverava: eravamo abbandonati e così come ci trovavamo,, difettando di munizioni ( ci rimaneva solo qualche caricatore), privi di viveri, senza direttiva, non sostenuti da artiglieria, circondati quasi totalmente, senza che ci venisse dato l’ordine di ritirarci, per sfuggire alla cattura, saremmo indubbiamente caduti prigionieri. Intanto in tutta la giornata, ci venne distribuita mezza scatoletta di carne e due gallette piccole, rotonde, verso le ore 17, un porta feriti portò l’ordine al Battaglione Complementare di ritirarsi, seguendo i movimenti del 2° Battaglione del 50° Fanteria. Per arrivare sulla strada, che portava a Spilimbergo , bisognava uscire dal fossato, attraversare il cortile, passando davanti alla casa, e percorrere un sentiero di una cinquantina di metri. Mentre mi trovavo precisamente su quel sentiero cogli ultimi compagni, si rivelarono improvvisamente, vicinissime ai nostri fianchi e dietro, delle mitragliatrici nemiche, che aprirono un fuoco furiosissimo e micidiale [...]

Udine un immondezzaio

intr. Catturato il 3 novembre a Valeriano in provincia di Udine, mentre l’esercito italiano subisce la disfatta di Caporetto, il caporale Giovan Battista Garattini viene condotto a tappe forzate verso il territorio dell’Impero austro-ungarico.

[...] Pernottammo, sdraiati per terra, in una villa completamente rovinata, alla quale erano state tolte perfino le tavole dei pavimenti, per accendere il fuoco, onde riscaldarsi. Il mattino seguente (10) ci ordinarono per quattro, ci distribuirono un pugno di briciole di galletta in otto (!), e, sotto la pioggia, ricominciammo la marcia. Così, completamente bagnati, affamati, sfiniti, col morale sempre più depresso, camminammo tutto il giorno ed a sera giungemmo nei pressi di S. Lucia di Tolmino [...]

[...] Purtroppo le nostre speranze svanirono molto presto! Si incominciò col dirci che bisognava fare cinque o sei kilometri, per giungere alla stazione; poi altri cinque o sei, e così di seguito, finché ci dovemmo purtroppo convincere che si burlavano di noi. Ci rassegnammo al triste destino; ma la stanchezza, già enorme, venne aumentata dalla disillusione! Si camminava per paura di scatenare l’ira dei manigoldi che ci scortavano; ma non ci reggevano più le forze e sembravamo un’accozzaglia di schiavi, che si trascinassero a forza, per paura degli aguzzini! E’ indescrivibile lo strazio nostro in quei giorni, nel dover camminare continuamente, privi di forze, fra quelle gole della Carniola, brulle, ove la malinconia, aumentata dalla tristezza della stagione, regnava e ci opprimeva; per quelle strade di notte completamente buie, impraticabili, incassate fra rocce altissime; colle calzature rovinate ed i piedi escoriati; sempre sotto la pioggia e fra gli urli di quei selvaggi, che, alle suppliche di qualcuno di noi, che si azzardava a manifestare l’impossibilità di proseguire, rispondevano con rauchi:”Mus” (per forza!), e con :”lees,verwaertz” (presto, avanti!) ,seguiti, ogni volta da percosse terribili, coi calci dei fucili, sotto i quali parecchi infelici si abbattevano! Avevamo camminato tutta la giornata; era già buio, ma nessun indizio di fermata! [...]

Torturati e uccisi dagli austriaci

Ricoverati in luride baracche, parecchie delle quali sconnesse, tanto che dalle fessure vi entrava il gelido vento di quei luoghi e la pioggia, su quella paglia polverizzata e completamente infettata da parassiti, parecchi infelici dai volti emaciati, con corpo scheletrito od enfio, colle stimmate proprie e terribili della fame, privi ormai di quella poca forza che sarebbe bastata loro per rizzarsi, stavano

 sdraiati coll’abbandono proprio dei morituri, volgendo attorno lo sguardo ebete, cogli occhi socchiusi ai quali la vita sembrava ormai mancare.

Di quei disgraziati, (ridotti in tali condizioni, dopo solo un mese di prigionia) ve n’era già una forte percentuale. Gli altri, quelli a cui ancora bastava la forza di camminare, la più parte cogli abiti a brandelli, colla mantellina e col cappotto bucati, o semplicemente con un pezzo di coperta sulle spalle, colle scarpe rotte, oppure privi di scarpe e coi piedi fasciati da cenci, luridi, intirizziti dal freddo, cogli occhi infossati, gironzolavano tra quei ricoveri, dai quali usciva un fetore insopportabile, dando l’impressione triste di scorgere in ognuno di loro l’allegoria della miseria più squallida e della fame più terribile!

Era, né più né meno, che una caterva di infelici condannati a languire e morire di stenti!

Edoardo Fazzi

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