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GIOVANNI BARTOLI

Nome e cognome: Giovanni BartoliLuogo e data di nascita: Roma, 16 novembre 1899Data di morte: 1929Ruolo al fronte: prima nella 94esima fanteria (brigata Messina), poi nella 254esima  fanteria (brigata Porto Maurizio) e infine divenne caporale.25/12/1917, Monte Grappa (Treviso)Una sera, rientrando dalla libera uscita, notai un clima agitato. C’era chi diceva una cosa e chi un’altra. Dicevano che gli Austriaci avevano rotto il fronte dilagando nelle nostre regioni, si diceva stessero per giungere a Venezia, si dicevano le notizie più strampalate. Il mattino dopo dovetti accettare che c’era molto di vero. Il nostro esercito, infatti, sarebbe dovuto andare al fronte per motivi non noti. Il nemico occupava i nostri primi paesi del Veneto. Era la disastrosa ritirata di Caporetto.Il mattino del 25 ottobre , il Colonnello Comandante della guarnigione ci annunciava la nostra partenza per il fronte. Il 5 novembre, salutati da fragorosi applausi, auguri e saluti, lasciammo la cittadina di Fano col treno. Camminammo per tre giorni, sempre cantando, attraversammo la salita della montagna e scendemmo il versante di quest’altra. Passammo la vallata di Arsiero (Vicenza), un paese completamente distrutto dall’esercito austriaco. Camminammo una notte intera; il sonno era sempre più forte, il freddo era insopportabile, lo zaino pesava più del solito per la provvista di cartucce. Era un vero martirio. Giungemmo alla meta, aspettammo la notte e poi, divisi per plotoni, si prese la via del fronte assegnato. Il mio plotone era assegnato in prima linea, ma presi gli ordini , una guida ci portò in trincea. I soldati dormivano ovunque, noi guardavamo con uno sguardo acuto cercando di esplorare il paesaggio. Fermati ad una trincea fui presentato ad un tenente il quale mi diede ordini per comandare la truppa. La trincea nella quale mi trovavo attraversava un punto dove c’era una casa di campagna, ci servì molto perché misi dentro una camera i miei uomini dove ardeva una candela nascosta tra i paralumi. Io dormii in un’altra stanza , soffocata dal caldo e dal fumo. Mi gettai sopra una coperta, senza pensare che a pochi passi la morte tendeva l’agguato quando essa voleva. Ma quella notte passò senza incidenti. Così come la giornata di oggi, la giornata di Natale, non ci fu niente di speciale, alla sera, bevemmo l’ultimo sorso di cognac, un liquore arrivato assieme al rancio contenente molta pasta, cotta da parecchie ore. A mezzanotte, il campanello d’allarme ci fece sveglaire di soprassalto. Non bisognava esitare. Quando quel semplice avviso chiamava, bisognava andare. Cosa stava avvenendo? La vedetta spiegava di aver visto parecchie ombre avanzare lentamente, fece fuoco, ma nessuno rispose, così tirò nuovamente il campanello d’allarme. Attendemmo. Un attesa lunga e sfibrante, bisognava accertare chi c’era. Una pattuglia con una mitragliatrice uscì dalla linea. Passarono parecchi minuti, fino a quando, capii che la pattuglia era impegnata con quella già scoperta. Immediatamente, presi i miei compagni del ‘99 e uscimmo dalla trincea per avanzare sul luogo da combattimento. Pronti ad un cenno strisciammo come rettili. Furono troppo presi dall’attaccare i miei compagni dal non accorgersi del tranello, noi. Fu un attimo. Sorpresi ai fianchi, ci gettammo sopra gli avversari a colpi di baionetta, rimasero disorientati: cercarono un mezzo di difesa. Li legammo con gran cura e li trascinammo violentemente nelle nostre linee.

Celeste Piva

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