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CERCATEVI COPIANDO!

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In questo articolo trovate lo scoop di questo numero: l’intervista di Increscendo a Fabio Geda, scrittore ed educatore. 

Gli abbiamo dunque chiesto (di nuovo) un po' del suo tempo per rispondere ad alcune nostre domande, mossi in primo luogo dalla sempre appassionante lettura di "Nel mare ci sono i coccodrilli", ma anche dall'incontro con stralci di altri suoi libri e dalla ricerca sulla sua biografia. 

Lui ci ha risposto. Ecco dunque di seguito un’intervista assolutamente imperdibile. Buona lettura!

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Chi o cosa l'ha portata ad avvicinarsi al mondo della scrittura? Essa, a suo avviso, potrebbe costituire un antidoto al disagio che ad oggi non è caratteristica esclusiva dei giovani, dei quali peraltro si è sempre occupato ed interessato, ma dell'intera società? Insomma, scrivere può essere una salvezza, un rifugio sicuro?

Io posso dire senza timore che la scrittura mi ha reso una persona migliore, e in questo senso mi verrebbe quindi da rispondere che sì, la scrittura può essere utile a chiunque per affrontare la vita. Intendiamoci: non sto parlando di una bacchetta magica, di una relazione causa-effetto immediata. La scrittura non è uno sciroppo da assumere in caso di malessere. È una pratica, invece. È più come andare in palestra: se ci vai abbastanza spesso e se ci vai con costanza, allora a un certo punto comincerai a vederne i benefici. E se smetterai di andarci facilmente quei benefici dopo un po’ svaniranno. Di quali benefici parlo? Della lucidità di pensiero, della fluidità del ragionamento, della competenza nell’uso delle parole, della capacità di argomentazione, del talento nell’immaginare connessioni, dell’empatia. Ecco, questo mi sento di dirlo con certezza: se leggi bene, vivi meglio.

 

Chi nella sua vita ha rappresentato per lei un riferimento, un esempio da seguire, ma anche qualcuno con cui confrontarsi liberamente?

Ci sono stati molti maestri e molte maestre, nella mia vita. Alcuni non li ho mai incontrati di persona, ma solo attraverso le loro opere: libri, film, saggi, reportage, canzoni, fumetti, gesti sportivi. Da Aldo Capitini e Gaetano Scirea, da Italo Calvino a Fabrizio De Andrè, da Danilo Dolci a Giovanni Falcone, da Margherita Hack a Liliana Segre. E questo solo per rimanere in Italia. E poi ci sono stati maestri e maestre che ho incontrato di persona e con cui ho avuto la fortuna di confrontarmi: alcuni professori e professoresse, alcuni capi scout, scrittori e scrittrici contemporanee che non solo leggo, ma sono persone amiche, che posso chiamare al telefono.

 

Lei ha lavorato per un decennio come educatore, prima di intraprendere definitivamente il mestiere dello scrittore. Quanto le esperienze della sua prima vita sono entrate nei suoi libri?

Non sarei lo scrittore che sono se non avessi fatto l’educatore sul territorio (prima) e in comunità alloggio (poi), se non avessi incontrato quelle famiglie e quei ragazzi, se non avessi educato me stesso all’ascolto così come mi è capitato dovendo raccogliere di continuo frammenti di storie complesse e dolorose. In tutti i libri con adolescenti protagonisti le mie esperienze da educatore emergono e friggono e sobbollono.

 

Ci risponda sinceramente. Il Fabio degli esordi si sarebbe aspettato un consenso così ampio? Che cosa direbbe quel Fabio al sé stesso di oggi?

Il Fabio degli esordi era già felice di aver pubblicato il primo romanzo, Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani, ed era felice di pensare che magari avrebbe continuato a fare l’educatore mentre, nel tempo libero, si divertiva a scrivere cose. E così è andata con i primi due romanzi. Poi però è arrivato Nel mare ci sono i coccodrilli e tutto è cambiato. Quel libro mi ha chiesto di scegliere, mi ha spinto a rischiare, e ho deciso di provare a vivere di scrittura. E per fortuna ha funzionato (sì, anche la fortuna ha una parte in tutto ciò, oltre alla caparbietà). Al Fabio di quindici anni fa direi di fare ciò tutto che ho fatto, anche gli errori, tutto è stato utile per rendermi ciò che sono.

 

A suo avviso, l’incontro con letture forti, pregnanti, può influenzare e magari cambiare la percezione del pubblico su temi scottanti, ad esempio quelli dell'immigrazione e dell’accoglienza?

Molte letture forti e preganti, sì. Non credo nei libri magici che da soli ti cambiano la vita, ma credo che un libro possa creare uno spostamento dello sguardo, un aumento della consapevolezza che magari condurrà verso altre letture e altre spostamenti dello sguardo. È una questione di sedimentazione. Detto ciò, le idee e le parole non bastano: a un certo punto devono arrivare le azioni, devono arrivare le esperienze vissute mettendo in gioco il proprio corpo. Le esperienze modificano le idee, e di conseguenza i comportamenti, più di quanto possano fare le parole.

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Come definirebbe il suo stile narrativo e quali sono gli elementi che ritiene siano presenti, in modo più o meno evidente, in tutte le sue opere?

Leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità e concretezza: i sei pilastri della contemporaneità elencati da Italo Calvino nelle Lezioni americane. Ecco, io li sempre sentiti miei in modo assolutamente spontaneo, naturale, e ho cercato di coltivarli fin dall’inizio. La leggerezza (che non è la superficialità) nel mio caso ha a che fare con il tono, con lo sguardo. La rapidità (che non è la velocità o la fretta) la si ritrova nel passo che scelgo di mantenere, nel respiro del racconto, e si lega all’esattezza, perché se sono preciso, se sono esatto, posso anche essere più rapido. La visibilità, ossia la capacità di racchiudere il senso delle cose in immagini chiare e potenti, si lega facilmente al mio amore per il cinema. La molteplicità, invece, cerco di coltivarla soprattutto attraverso i livelli di interpretazione e allo spazio che concedo al lettore per impadronirsi del testo. E infine la concretezza, che interpreto come il tentativo di affondare le mani nelle cose del mondo.

 

Ritiene che anche nel mondo della letteratura e dell’editoria sia presente un problema di disparità di genere? Il mondo dei libri, in Italia, è maschilista, secondo lei?

L’editoria, come ogni cosa, risente del clima patriarcale di cui il nostro Paese è impregnato. Ma è in atto un affrancamento da questo retaggio novecentesco. C’è più attenzione e più sensibilità. Ci sono discussioni vivaci. E ci sono scrittrici, editrici e giornaliste straordinarie che oggi stanno avendo finalmente tutta l’attenzione che meritano.

 

Cosa ha imparato, della vita, attraverso le letture? Ce ne sono state alcune che ritiene fondamentali? E che cosa le ha insegnato, il mestiere dello scrittore?

Attraverso le letture, e anche attraverso le cose che ho scritto io, ho imparato che la vita è complessa, che il mondo è complesso, che l’essere umano ha una mentre straordinaria, ma fragile, e che trovare il proprio posto nell’universo in questa dinamica, sballottati tra complessità e fragilità, non è mai semplice.

 

C’è un libro, tra quelli che ha scritto, a cui è particolarmente affezionato, o che sente di aver reso con particolare efficacia?

Sono molto affezionato a Una domenica, che parla dell’inversione del rapporto di cura tra genitori e figli quando i figli diventano adulti e i genitori invecchiano. Mi piace la malinconia di cui è pervaso il racconto, una malinconia che credo sia familiare a chi si trova a percorre l’ultimo tratto della vita e a fare conti con le scelte fatte, magari pure con gli errori, o banalmente con il tempo usato più per stare dietro alle cose urgenti che a quelle importanti. Perché non è sempre facile capire quali siano, le cose importanti.

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Come riesce a non farsi travolgere emotivamente dalle storie che racconta e a trovare la delicatezza, il rispetto e la forza di restituirle in tutta la loro verità? Quanta fatica le costa?

Io non evito di essere travolto emotivamente, anzi, io mi faccio travolgere consapevolmente: non potrei scrivere ciò che scrivo se non accettassi di essere travolto. E a quel punto per trovare la delicatezza, il rispetto e la forza di cui parlate bisogna in parte sapersi abbandonare alla corrente, e in parte riuscire a usarla per muoversi nella direzione desiderata.

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Per noi, “Nel mare ci sono i coccodrilli” è stato un titolo indimenticabile. Pensa che, oggi, i ragazzi come Enaiatollah Akbari possano riuscire a trovare la tranquillità e un rifugio in Paesi democratici?

Lo chiedo in quanto, poche settimane fa, i giornali hanno dato notizia di una ragazza siriana, fuggita dalla guerra e dal terremoto, che una volta in Italia è stata oggetto di sfruttamento e violenza ad opera di trafficanti senza scrupoli. E questa è una delle tante storie di disperazione legata alle migrazioni.

Le storie sono molte e sono diverse. Ragazzi e ragazze che riescono a farcela, che trovano persone in grado di accoglierli e di camminare al loro fianco e altri che invece non hanno quella fortuna. Perchè poi, ahimè, anche di fortuna si tratta. La quantità di persone nel mondo che avrebbe bisogno di essere aiutata a ricostruire la propria vita è enorme. Le sole forze della società civile non bastano, ci vorrebbe uno sforzo consapevole da parte delle istituzioni. Per questo è importante andare a votare e scegliere quelle forze politiche che, al netto delle incongruenze e delle fatiche, propongono una idea di mondo più giusto e più equo. E poi, nel frattempo, ognuno di noi farà ciò che può per dare una mano.

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Qualche anno fa, dopo il successo clamoroso del libro, lei ha deciso di tornare alla vicenda di Enaiat con “Storia di un figlio”. Perché ha avvertito questo bisogno? Questo significa che le storie raccontate continuano a camminare nella mente dello scrittore?

Perché il viaggio del migrante non finisce quando la persona che emigra tocca terra in un paese straniero e trova accoglienza. Lì a volte (ma non sempre) finisce la parte del viaggio in cui il corpo si sposta nello spazio: c’è il superamento di mari e montagne, l’attraversamento di frontiere, la fuga dai centri di detenzione. Dopo inizia un nuovo viaggio, un viaggio esistenziale dentro di sé, attraverso la propria cultura di origine che dev’essere cucita con quella del paese di accoglienza, un viaggio che parte dal rapporto con le proprie radici e finisce in un nuovo radicamento. L’anima migrante è preziosa esattamente per questo: perchè è nuova di zecca, frutto di innesti misteriosi, e può produce fiori e frutti meravigliosi e sconosciuti.

 

Come affronta la responsabilità di raccontare storie vere o ispirate a eventi reali nel suo lavoro? Quali sono le sfide principali che incontra in questo processo creativo?

Affronto quella responsabilità con il massimo rispetto possibile, un rispetto che ho affinato negli anni in cui ho lavorato come educatore. Anche quello educativo è un mestiere narrativo. Gli educatori e le educatrici lavorano con le storie dei loro ragazzi e sono chiamati a raccoglierle, a metterle in ordine e poi a restituirgliele così che loro possano guardarle dall’esterno, comprenderle e farci pace — così da fare pace con se stessi e con la propria memoria. Aver lavorato per dieci anni in una comunità alloggio per minori ha affinato la mia capacità di ascolto profondo delle vite altrui, una competenza che ora uso anche nel mio lavoro di narratore.

 

Considerando che i suoi romanzi sono indirizzati principalmente ad un pubblico di adolescenti e agli adulti che cercano di capirli in questa fase di crescita, cosa si sente di suggerire a noi scrittori in erba?

Di leggere, ovviamente. E poi, se vi piace scrivere, di iniziare copiando (direi plagiando) spudoratamente i vostri autori e le vostre autrici preferite. Se uno ama la musica ascolterà molta musica e all’inizio magari farà le cover dei suoi cantanti preferiti. Se uno ama lo sport guarderà molto sport e praticandolo imiterà i gesti dei suoi atleti preferiti. Per la scrittura è lo stesso, a partire dai libri e dagli scrittori.

 

Nel suo libro “Song of myself” ha raccontato la varianza di genere, e in una recente intervista ha confessato la sua ignoranza in merito, prima di affrontare questa sfida. Perché ha deciso di scrivere di un tema così scottante e così poco conosciuto, soprattutto in Italia? Pensa che la nostra generazione debba affrontare, finalmente, questo aspetto? E cosa potrebbe fare la scuola per aiutarci a prendere coscienza di noi stessi?

Ho scritto di questo tema perché nel momento in cui mi sono accorto di aver lavorato come educatore per oltre quindici anni senza sapere tutto ciò che stavo scoprendo sulla questione dell’identità sessuale mi sono detto che questa cosa era assurda, che bisognava accendere una luce sulla nostra ignoranza e sul nostro analfabetismo sessuoaffettivo. Come dico nel libro: viviamo in una società tanto assuefatta alla mercificazione del corpo o addirittura a una certa pornografia, quanto imbarazzata a discutere di identità sessuale con cognizione di causa affidandosi alla biologia, alla psicologia, alle scienze sociali, al cuore (ovviamente) e all’esperienza. E questo è sbagliato.

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L’adolescenza in tutte le sue sfumature sembra essere stata il fulcro di tutta la sua vita, prima come educatore e poi come scrittore. Lei che adolescente è stato?

Sono stato un adolescente felice, al netto delle inquietudini e dei casini tipici di quella età. In quegli anni mi è successo di frequentare degli ambienti piacevoli, sani, dove ho incontrato figure adulte autorevoli e che mi hanno aiutato a navigare attraverso l’adolescenza con uno sguardo curioso e sempre, ostinatamente rivolto al mistero e alla meraviglia. A scuola, poi, durante il liceo, mi è capitato, dopo un biennio turbolento, di incontrare in terza, quarta e quinta un corpo docenti con cui ho stretto buone relazioni e che ha saputo mettere in risalto i miei talenti e mettere una toppa sulle tantissime cose che invece faticavo a fare.

 

A quale personaggio dei suoi libri si sente più vicino?

Senza dubbio Ascanio, l’educatore protagonista dell’Esatta sequenza dei gesti. Non c’è mai stato un altro personaggio a cui io abbia attribuito una maggiore quantità di vita mia.

 

Ritiene che l’informazione videoludica stia rubando spazio alla qualità della lettura e della scrittura? O ritiene che sia solo una questione di saperne gestire le potenzialità?

Credo che sicuramente stia occupando parte del tempo che una volta usavamo leggendo. Ma pazienza. Il tempo non è infinito e le cose belle da fare sono tante. È solo che bisogna saper distribuire il tempo che si ha tra molte cose e non lasciare che una sola attività occupi tutto. È come con il cibo: se mangio solo carne, o solo patate, o solo biscotti, alla fine starò male. La cosa migliore è avere una dieta varia e differenziata. Vale anche per i libri, la musica, i social network, il cinema, il riposo: serve un po’ di tutto.

 

Che consigli darebbe a noi giovani, a una generazione che si sente rappresentata nei suoi racconti? Di essere sempre curiosi. E di tenere sempre un piede nel sogno e uno nella realtà.

 

Arrivati al suo successo, c’è ancora spazio per i progetti? Se sì, i suoi quali sono?

Tantissimi progetti, sempre. Ora sto lavorando a un libro che mi ha portato e mi porterà ancora in Angola, un paese dell’Africa sub-sahariana. Un paese meraviglioso. Ma inutile dirlo: tutto il mondo è meraviglioso.

 

Mille grazie, da tutti noi!

Caterina Canevari

Edoardo Fazzi

Asia Casilli

Leonardo Pietralunga

Rachele Baboni

Arianna Affini

Sohaib Nasr Allah

Ginevra Ravagna

Alessandro Micheloni

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