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IL PREZZO DELLA RINASCITA

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La vita è una strada che ci chiede di prendere molte scelte. Per milioni di persone diventa vitale dover abbandonare il proprio Paese per cercare una vera vita dignitosa, migrando e affidandosi al destino. Non sempre va tutto bene. Una volta salvati e portati in strutture come CPR (Centri di permanenza Rimpatrio) si rischia di pentirsi del viaggio intrapreso, perché non si viene compresi e le condizioni di vita sono inadeguate. Così si può arrivare a rifiutare di continuare a sopportare, fino a togliersi la vita, per la perdita del senso di normalità. Ciò è successo a Ponte Galeria (Roma) dove un detenuto si è suicidato lasciando un biglietto che recitava queste parole “Mia madre non fa altro che piangere per me. Mi manca molto, come mi manca l’Africa. Quando morirò voglio tornare lì e da lei. I militari italiani non capiscono. Che la mia anima riposi in pace”. Sono parole di malinconia e dolore che fanno percepire quanto il ragazzo si sia sentito invisibile e perso. D’altronde qual è il prezzo di abbandonare tutto per trovare un futuro tormentato? Il suicidio non può diventare la più grande privazione di diritti? In effetti la violenza può prendere lo stesso peso morale del togliersi la vita se le condizioni sociali non sono dignitose .Infatti, un caso di ingiustizia e incomprensione, sfociata in maltrattamenti è avvenuto, per esempio, a Reggio Emilia, dove un carcerato è stato pestato per delle richieste del tutto realizzabili. Questo caso ci fa riflettere su come in luoghi dove si dovrebbe rinascere, quali un carcere, l’astio crei dinamiche di cattiveria e incuria nei confronti di chi necessita di aiuto. Così si torna sempre ad un’idea di prevaricazione e pregiudizio, dove la reclusione viene vista come una punizione e basta, nonostante possa offrire diverse possibilità e occasioni per valorizzare quegli aspetti che i detenuti non sapevano di avere. Per esempio molti carcerati di giovane età hanno avuto l’opportunità di potersi laureare e concludere i propri studi, o sotto consiglio di Armando Punzo alcuni istituti penitenziari hanno introdotto diverse attività, come il teatro. Da questo laboratorio ci si può sentire protagonisti, capaci di fare qualcosa e di avere delle qualità e delle capacità. Infatti, se un detenuto ci mette anche la propria volontà, può riflettere sul reato commesso e redimersi, cercando di migliorare e non pensare al passato ma solo al futuro e al cambiamento, avendo così una rinascita. Un processo che può far sentire il detenuto diverso perché unico nel voler tornare sulla buona strada, dimostrando redenzione del reato commesso, oppure perché fattori etnici o linguistici fanno sì che non sempre si riesca a “entrare” nelle singole persone e aiutarle. Infine, in merito alla notizia del detenuto picchiato dagli agenti a Reggio Emilia, ci chiediamo quale sia la motivazione di una violenza innata che va contro gli ideali di un membro delle forze armate oppure in contrapposizione al Giuramento Solenne che fanno per garantire l’adempimento alla propria responsabilità di guardie. Pensiamo quindi che tutti gli esseri umani sono chiamati a prendere scelte; e proprio queste lo portano a vivere determinate situazioni. Chi trascorre periodi come in carcere non deve subire il “peso” del pregiudizio, ma avere la più piena libertà di decidere se rinascere, intraprendendo la strada del “bene” senza dover subire prevaricazione, o se continuare con la propria vita essendo cosciente delle conseguenze.

Alessandro Micheloni

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