COME QUESTA PIETRA
11 giugno 1924
Giovine, forse è questo il periodo più straziante. Il periodo più vuoto, ma pieno di violenza. Dove una voce sopraffà le altre. Dove ognuno è nemico, e non ci si può fidare di nessuno. Ora le cosiddette “squadracce” vogliono avere il potere con ogni mezzo. Tutti gli uomini che non aderiscono all’ideologia fascista vengono spaventati, minacciati, colpiti o addirittura uccisi. Tutti dimentichiamo che siamo fratelli, che siamo umani. Nella Grande guerra era difficile pensare e capire che i soldati dell’esercito nemico fossero nostri fratelli, adesso lo è anche nello stesso fronte. Mi sono ancor più convinto che questa parola fragile e tremante non diventerà mai frutto, non diventerà mai qualcosa di concreto. Ragazzo, foglia acerba, non farti sedurre dalla voglia, violenta, di sistemare e ripartire. Ieri, a Roma, è accaduto l’avvenimento più oltraggioso e animalesco che il fascismo ha compiuto finora. L’uccisione di Matteotti, un uomo politico che ha avuto il coraggio di opporsi e denunciare la violenza fascista e i brogli avvenuti durante le elezioni di quest’anno, dimostra che il fascismo non ha scrupoli. Matteotti poteva essere un mio corrispondente, un mio amico o addirittura mio fratello. Ma quel che ho capito è che al fascismo non interessa la persona, ma l’uniforme. Ancora una volta il mio cuore è colmo di croci, un’altra volta vedo fuori dalla mia porta distruzione, violenza e annientamento, come trovo nei miei ricordi. Ma forse mi sbaglio, mi sto basando su immagini, su idee. Ragazzo, ti supplico, non diventare come me, non basarti su stereotipi e su pregiudizi. Sono certo che fra chi sogna un futuro “prospero”, arrivandoci adoperando la violenza, c’è una foglia acerba proprio come te. Un essere umano obbligato a disumanizzarsi. Allora, forse, anche chi si oppone alla maggioranza, o almeno la maggioranza che è risultata dopo le elezioni di quest’anno, non è fino in fondo umano. Ormai anche il nostro corrispondente più fidato può non essere nostro fratello. Perché si promette di ricominciare se ritorniamo nell’oscurità della Grande Guerra? Perché ritornare in quelle nottate infinite, piene di dolore e di amore? Perché ritornare in quelle trincee di fianco ad un compagno morto? Morto, massacrato, gli è stata tolta la sacralità del suo corpo. Perché tornare alla paura e al pianto nelle trincee? Caro ragazzo, se come me sei contrario alla violenza e all’oppressione del fascismo non combattere la violenza con la violenza. Non massacrare per non essere massacrato. Poiché se fai del male, diventerai come loro. Questo è il pericolo che noi corriamo. Fanciullo, spero che tu non diventi come me, pieno di dolore e di disperazione. Spero che gli altri non ti facciamo diventare come me, spero che nei territori distrutti, in cui io mi ritrovo, non ti incontri. Spero che tu non diventi disanimato. Ma come non esserlo? Solo alcuni non lo sono, quelli a cui noi siamo contrari. Anche adesso tutti noi aspettiamo impazienti il tragico premio, la morte. Come scrissi alla fine di una poesia l’agosto del 1916 sul Valloncello di Cima Quattro: “La morte si sconta vivendo”.
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Giorgio Seniga