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LA PAROLA CHE INCANTA

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Arriva e si guarda intorno. Sembra emozionato, ma anche fragile. Forse gli mettiamo paura, o forse non è abituato a parlare a ragazzi. Lo facciamo accomodare nella sala professori che avevamo preparato per lui. Sedie attorno al tavolo, i nostri pc già accesi, pronti a catturare il suo racconto. E lui non ce lo fa mancare, anzi, srotola un fiume di parole, aneddoti, citazioni. Ci affascina senza saperlo. Per quasi due ore ci regala un po’ della sua cultura e si sorprende a divertirsi, insieme a noi. Davide Mattellini è tante cose. Giornalista, scrittore, poeta, pittore. Ma, soprattutto, è un uomo che per tutta una vita ha rincorso la bellezza. Quella della parola esatta, quella della musica nei versi, quella di un attacco o di un finale di pezzo che lascino con il fiato sospeso. Come potevamo non rimanerne incantati? Ecco il resoconto di una mattinata da ricordare.

 

Caterina

Lei si è diplomato con il massimo dei voti in campo artistico, scoprendo tra i quindici ed i sedici anni il mondo della poesia. Dove sta, secondo lei, il legame inscindibile tra arte figurativa e poesia (sempre che esista)?

 

No, sono la stessa cosa. Nel mio sistema filosofico, se posso permettermi, le arti divergono soltanto per i sensi che coinvolgono. Ma sono lo stesso universo. E molte delle arti sono sinestetiche, si richiamano e si contaminano. La poesia coinvolge tutti i sensi, nella finzione di sentire, vedere, annusare, toccare. L’individuo, sulla base della propria sensibilità individuale, sceglie i propri orientamenti, in libertà. Io nasco come pittore perché mi ero appassionato da bambino alla vita di Leonardo da Vinci, grazie ad una serie di puntate sulla RAI. La mia generazione è cresciuta con una tv intelligente e stimolante. Una folgorazione che mi aveva scatenato una autentica febbre pittorica. Mio padre, poi, mi ha sempre assecondato nelle mie follie. Lo stimolo per passare dalla pittura alla poesia è stato una gita fuori porta al Vittoriale degli Italiani: l’ambiente, le bacheche, la rete di personaggi che lì avevano transitato, mi ha dirottato verso la poesia. Ho iniziato a leggere d’Annunzio, e molti altri. Mi sono poi laureato con una tesi su Poliziano.

 

Arianna

Quali sono state le figure più significative, quelle che hanno ricoperto un ruolo fondamentale nella sua formazione? E quali, invece, hanno rischiato di disorientarla?

 

Mio padre è stato sicuramente strumentale, mi ha fornito il materiale per approcciarmi alla bellezza e, quindi, alla letteratura. Quanto al mio bagaglio culturale, esso è andato formandosi in modo caotico, ma con un filo conduttore che io riconosco in D’Annunzio. Tuttora mi ritengo invischiato nella letteratura dannunziana. È un contagio fatale. Tutti gli altri autori sono andati a parametrarsi con questa pietra di paragone. Ho scoperto via via Pascoli, e i grandi del Novecento. Nell’Ottocento ho trovato i Romantici, ho avuto il mio periodo foscoliano, e poi Leopardi. Poi, sempre più a ritroso, fino a Dante. Lì impari a fare la poesia, anche se è un lavoro immane. Ti impregna, ti avvolge con ke astuzie della retorica, della stilistica. Più ti addentri in Dante, più ne comprendi l’inarrivabile grandezza. Persone concrete, mentori autentici, non credo di averne mai avuti. Mi è mancata la figura di un Maestro. Il Maestro ti forma, ti costruisce i tuoi binari intellettuali. Oggi non ci sono Maestri, ci sono professori, a volte straordinari, tra cui sicuramente il grande Vittore Branca, con cui mi sono laureato, continuando anche in seguito un rapporto di stima e di affetto.

 

Leonardo

Qual è il ruolo della poesia nella società moderna secondo lei? Crede che abbia ancora un impatto significativo sulle persone?

 

Studio significa amore. La fatica, la dedizione, è la premessa. Si legge paradossalmente molta più poesia oggi di ieri. Tanti sono i canali di trasmissione della poesia e in generale delle arti. Quando ero un diciassettenne, avevo messo insieme la mia prima raccolta poetica. In un mattino in cui avevo marinato la scuola, ero andato a Milano in cerca di un editore. Dopo una settimana, l’editore mi aveva scritto dicendo che accettava la pubblicazione, ma in cambio di una cifra al di fuori della portata che avrei potuto affrontare, anche ricorrendo all’aiuto dei miei genitori. Oggi, al contrario, pubblicare è facilissimo e molto economico. Siamo quindi invasi da poesia. Questo sta a significare che un suo ruolo e un suo ascendente sulla società ce l’ha. Fino a che ci sarà il bisogno di comunicare e la presenza di sentimenti, o di una spiritualità, esisterà la poesia. Io sono un dantesco, e per me è amore, mettere a nudo il mio cuore. Certo, molto spesso, oggi, il livello qualitativo in circolazione è scadente, e spesso si dimentica che dietro la poesia c’è il pensiero, la cultura, un messaggio. Molta poesia, insomma, ma spesso vuota e poco utile.

 

Rachele

Veniamo alla professione giornalistica. Come ha iniziato la tua carriera nel giornalismo?

 

Quando ho capito che inserirmi nella carriera universitaria come ricercatore sarebbe stato difficile e, in qualsiasi caso, molto lungo, volendo comunque rimanere nell’ambito della scrittura, ho cercato di entrare a Gazzetta. Ad aprirmi le porte, facendo da tramite tra me e il Direttore, è stato un mio professore delle superiori, amico di Bulbarelli. Casualmente, in quel periodo, un paio di giornalisti (tra cui Luciano Ghelfi) avevano lasciato l’incarico perché erano stati assunti in RAI. “Perché vuoi fare il giornalista?”, fu la domanda che Bulbarelli mi pose quando mi accolse per un primo colloquio. “Perché ritengo che sia un privilegio”. La mia risposta gli era piaciuta. “Sì, va bene”. E dopo qualche tempo, aggiunse “Vieni qui domani e respira aria di redazione”. Così, ho cominciato nella sezione interni esteri: io ritagliavo le stampate della telescrivente e componevo i fogli d’agenzia. Poi, alla fine dl 1991, ho iniziato a fare il cronista; andavo dove non voleva andare nessuno. E il giornalista ha finito per cambiare il poeta. Perché il giornalismo cambia il sistema mentale per affrontare gli argomenti. È un prodotto di sintesi, hai le righe contate e devi condensare tutto il senso in uno spazio ristretto.

 

Leonardo

Ha ricoperto ruoli significativi come quella di Direttore del quotidiano La Voce di Mantova. Qual è oggi la sua visione del giornalismo e la sua importanza nel contesto attuale?

I giornali purtroppo stanno esaurendosi, i lettori sono sempre meno. I numeri sono impietosi, nel grande e nel piccolo. Purtroppo, in generale, non c’è più l’interesse per l’informazione data attraverso il giornale. L’accesso al serbatoio di conoscenza oggi è alternativo. I social, la rete. Io credo che da un punto di vista tecnologico, i giornali diventeranno sempre meno cartacei, ma il giornalista è come il filosofo per la società. Dà le idee. E le idee non si trovano sui social. Hanno bisogno di una caratura e di una valenza di sedimentazione, di decantazione. Quanto alla mia storia, alla direzione sono arrivato per caso. Nel 1999 il giornale per cui lavoravo aveva chiuso i battenti. E grazie al coraggio di un giornalista e amico che mi piace citare, Maurizio Pellegrini, siamo ripartiti con me al timone, con mia grande sorpresa. Essere direttore è stato un compito difficile e infinitamente arricchente. A distanza di 25 anni, la Voce di Mantova ha ancora l’impianto quello che avevo pensato io. Per realizzarlo, avevo rubacchiato idee dalle testate internazionali, e credo di essermi ispirato a tanti buoni modelli. L’idea della dissacrazione, della convivenza di opposti ha sempre contraddistinto la mia linea, un po’ come sono soliti fare in Gran Bretagna. Mi piace trattare ogni notizia come non assoluta, ma in relazione ad un contesto in cui avviene. Il fatto di cronaca nera così come quello culturale. La cultura, nella Voce, è al centro del giornale, con diverse pagine quotidiane. E ogni numero apre con le lettere al Direttore, perché sono i lettori a dover avere la prima parola.  

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Ha spesso espresso opinioni controcorrente. Cosa la spinge a dire ciò che pensa, anche quando questo può generare controversie e critiche? C’è, insomma, un prezzo da pagare per le proprie opinioni?

Per questo sono decaduto da direttore. Mi sono pentito spesso delle modalità con cui posso aver espresso un pensiero, ma mai per la franchezza con cui ho ritenuto di esprimermi.

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Ginevra

Come deve porsi un giornalista rispetto alla notizia che deve raccontare? Qual è, cioè, il confine da non oltrepassare per riuscire a rendere i fatti senza violare il rispetto per le persone?

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Noi siamo tenuti ad un codice deontologico che impone tre condizioni. La notizia deve essere vera e verificata, deve essere di interesse pubblico, deve mantenere la continenza espositiva, ovvero non esondare nella decenza, nella correttezza, nel rispetto delle persone. Il terzo punto, effettivamente, è sottile e facile ad essere valicato. Occorre fare attenzione e sapere che si scrive sempre di e/o a persone.

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Caterina

Nel corso della sua carriera di giornalista, qual è stata la notizia, il fatto, o la tematica che l’ha colpita o l’ha turbata maggiormente?

Mi affascina la morte. E sento un’inclinazione naturale nello scrivere di notizie riguardanti il ricordo di persone, la ricostruzione di biografie di gente scomparsa. Una su tutte, Bulbarelli, l’uomo a cui forse devo di più.

 

Alessandro

Qual è, in questo mondo oppresso da guerre e da tensioni, l’importanza del giornalismo e qual è quello della poesia? E ancora. La cultura può diventare un’arma, secondo lei?

Il nostro tempo, preso con questo sistema di riferimento, non è diverso dai tempi passati. Guerre e tensioni ci sono sempre state. I poeti o i giornalisti hanno sempre scritto tra le schioppettate. La domanda abbraccia la storia. La cultura non è un’arma, in quanto è privilegio di pochi. E di solito, i pochi non contano molto.

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Arianna

Guardando al futuro, quali sono le sue speranze e le sue preoccupazioni maggiori?

La mia preoccupazione maggiore è che fra qualche mese ho 62 anni! (Ride) Ovviamente, ho anche speranze. Legate ai figli, alla vita. Da un punto di vista biologico sono un privilegiato, come tuti i nati in questo tempo. Certo, avverto il tempo che passa, la brevità della vita, e ho tanti progetti ad oggi incompiuti. Si desidera sempre il migliore dei mondi possibili. Io sono positivo rispetto alla vita. 

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Ginevra

Cos’è cambiato, del giornalismo, da quando lei era un esordiente?

I bravi c’erano allora e ci sono oggi. Ma prima c’erano anche i bravissimi. Forse, tra di loro, non c’è stato un ricambio generazionale. Esisteva un artigianato di qualità. Un fare le cose con cura, con dedizione, anche senza raggiungere la popolarità. In ogni professione.

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Rachele

Quali sono i principali consigli che darebbe ad un giornalista in erba?

Uno solo. Studiare. Leggere quel che scrivono gli altri e non rileggere quel si scrive. Uscire dall’autoreferenzialità.

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Leonardo

Sembra che tra i suoi filosofi preferiti ci sia Giordano Bruno, simbolo del libero pensiero. Lei pensa che attualmente esista la capacità di esprimere un pensiero senza essere condizionati dalla società?

No. Credo sia un’utopia. La libertà è il sogno. Amo Bruno e potendo tornare nei secoli cercherei di liberarlo, di convincerlo ad abiurare e a salvare, così, la sua mente prodigiosa dalla pena capitale. Lui è stato forse il più grande di tutti. È colui che ha messo in discussione, fino a lacerarli, tutti i confini. “Il cosmo è un sistema in cui ogni punto è centro e circonferenza” sosteneva. Una frase che continua a commuovermi e a farmi pensare...

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Recentemente ha pubblicato “La Corte Dei Fauni”, un poema filosofico di oltre 17mila versi. Cosa l’ha spinta a intraprendere questo viaggio, e quanto sente di assomigliare al protagonista, Dore?

Ogni pittore dipinge sé stesso. E ogni scrittore fa altrettanto. Tuttavia, questo non è un libro autobiografico. La storia è fuori dall’ordinario e non è la mia vita. Ma, certo, essa è il mio pensiero. A spingermi a scriverlo è stato la voglia di sintetizzare il mio mondo, gli autori più significativi, le mie letture. Si parla di libertà, di morte, di piacere, il contrasto natura- civiltà, l’anima, l’universo.

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Caterina

Da giornalista, che impressione ha avuto della nostra redazione? Che idea si è fatto di Increscendo?

Oggi sono qui e vi guardo, stupito, affascinato dal vostro coraggio e dalla vostra lucidità, e faccio il parallelo con le classi che ho frequentato. Siete bellissimi. A parte il complimento, sincero. Siete molto più bravi di quanto avrei potuto pensare. Curiosi, attrezzati, capaci di interagire con gli adulti. Avete una ricchezza straordinaria in mano. Usatela bene. Non date per scontato niente. E, soprattutto, non siate conformisti!

Caterina Canevari

Rachele Baboni

Alessandro Micheloni

Arianna Affini

Ginevra Ravagna

Leonardo Pietralunga

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